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TRE GIORNI LUNGHI UNA VITA

Domenica. La Nuova Vita

Questa pandemia finirà. Non sappiamo bene quando e come, ma finirà. Ogni esperienza della vita o ci cambia o è inutile. Attraversare una difficoltà, vivere una gioia, ci fornisce sempre una possibilità di imparare e, se vogliamo, di trasformarci. Chissà se i discepoli di Emmaus hanno provato questo. La storia dei discepoli di Emmaus è il brano evangelico che mi piace di più. Lo trovo molto “cinematografico. Due uomini in cammino lungo una strada deserta. Provengono da un luogo dove è accaduto qualcosa, ne parlano forse preoccupati, comunque non indifferenti: quello che è accaduto li riguarda. All’improvviso, dal nulla, si avvicina un uomo e cominciano a parlare. Le idee sul “dopo quarantena” si sprecano: ci riabbracceremo, ci incontrremo di nuovo, torneremo agli aperitivi (icona del nuovo stare insieme, pare), ci ritroveremo.
Ci ho pensato molto: ci ritroveremo sì, ma ci riconosceremo? Ogni esperienza della vita o ci cambia o è inutile. I due proseguono il cammino con lo sconosciuto e gli parlano di ciò che è accaduto e della loro delusione sull’epilogo della vicenda. A quel punto l’uomo comincia a narrare vecchie storie che prefiguravano l’accaduto, rassicurando che le cose dovevano andare così e che sarebbe stato per il meglio.
La convivenza forzata per alcuni e la solitudine per altri, il rispetto di regole rigide, un nuovo modo di lavorare, di fare la spesa, di comunicare, trasformerà il nostro essere “dopo”? Non lo so. Il mondo ha tanto da imparare da questa esperienza, ma il mondo siamo noi e la trasformazione del tutto non può non partire da quella delle parti. Il problema è che spesso la storia insegna a cattivi studenti e spesso non riconosciamo in ciò che ci accade e nelle persone che incontriamo una possibilità di cambiamento.
Si fa sera, e i due amici invitano il nuovo compagno di viaggio a fermarsi con loro.
Si va a cena e in un momento preciso, brevissimo ed infinto (quelli che ti capitano a volte e che vorresti trattenere perché senti che ti appartengono, anche se non sai bene perché), riconoscono l’estraneo.
La persona che li aveva accompagnati era il loro Maestro, morto nel luogo da cui stavano allontanadosi, fuggendo.
Com’è possibile che non lo avessero riconosciuto?
I due trovano la forza di ripartire, non per proseguire, ma per tornare indietro a raccontare l’accaduto agli amici, ai compagni.
Quando ci ritroveremo, non spero di incontrare le stesse persone, ma persone trasformate. Spero che il loro cambiamento possa viverlo anche io, che il nostro stare insieme sia nuovo non per nuovi comportamenti imposti dall’esterno, ma per ciò che ha cambiato il nostro cuore, il nostro spirito, la nostra anima. I due discepoli non hanno riconosciuto Gesù, perché trasfigurato dalla resurrezione: la stessa persona, eppure nuova. Finchè hanno creduto fosse morto, non potevano riconoscerlo: lo fanno nello spezzare il pane, nel sacrificio, nel dono.
Erano sulla strada verso Emmaus, che porta lontano da Gerusalemme: tornano indietro, perché l’incontro con Gesù fa cambiare strada, obiettivo. L’augurio è che questa nuova esperienza, drammatica per alcuni, tragica per molti, dolorosa per tutti, ci trasfiguri, ci renda diversi, nuovi.
In questa Pasqua, forse unica e specialissima, possiamo ricordare la morte di Gesù, ma riconoscerlo nello spezzare il pane, risorto e con noi. Ogni esperienza della vita o ci cambia o è inutile.Mi auguro di incontrarci tutti, sulla strada per Emmaus e di stupirci nel non riconoscerci più, pronti a tornare insieme sulla strada verso Gerusalemme.

(Alfredo Vicinanza)

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