Violenza di genere: quale “genere” di violenza?
Il 25 novembre ricorre la Giornata mondiale contro la violenza di genere. Migliaia di donne scendono nelle piazze per manifestare a gran voce le ingiustizie sociali e le violazioni dei diritti, che frequentemente sono costrette a sopportare.
Sempre più spesso dalle cronache nazionali ed internazionali si sente la tragica eco della violenza di genere e del femminicidio, ma sembra quasi che, superato l’interesse legato alla notizia momentanea, il problema in realtà non ci tocchi da vicino.
Ed invece dovrebbe essere un interesse comune a tutti noi, perché molte donne quotidianamente subiscono violenza, una violenza di genere che, troppo spesso, si perpetra attraverso aggressioni, percosse o schiaffi e che vede, come quasi naturale epilogo, l’uccisione della vittima da parte dell’aggressore.
Tutto questo se vogliamo, però, è soltanto la punta dell’iceberg di una secolare ed ingiustificata condizione di inferiorità a cui la donna è relegata dalla società.
Quella società che, dinanzi agli eventi eclatanti delle morti e delle efferate aggressioni alle donne sembra “volersi scandalizzare” invocando inasprimenti di pene e urgenti interventi delle istituzioni, è purtroppo anche la stessa – che calato il sipario dell’attenzione mediatica – ritorna a far proprie le stesse forme di violenza e discriminazione poco prima tanto condannate, oppure volta le spalle al dramma che si consuma nelle case vicine, facendo finta di non vedere o sentire!
La violenza di genere abbraccia purtroppo in sé tantissime subdole forme di vessazione, che spesso non sono neanche considerate “violenze”, ma che tali lo sono in tutta la loro meschinità.
Ed ecco, quindi, che le stesse si palesano sotto forme diverse, a partire dai condizionamenti psicologici, caratterizzati da atteggiamenti volti a mortificare, sminuire e ledere la dignità della donna, minandone la fiducia in sé stessa e/o portandola all’isolamento. Per non dire della violenza economica, esercitata attraverso un controllo ossessivo delle finanze familiari e personali per limitare la libertà e l’autonomia della donna. E, infine, la violenza sessuale all’interno della coppia che, anche se lentamente, inizia ad avere un riconoscimento di configurabilità del reato.
La violenza di genere fonda le sue radici nell’atavica quanto ingiustificata convinzione che ci sia una “naturale” disparità di posizioni e di poteri nelle relazioni sia intime che sociali tra uomini e donne, giungendo poi a ritenere e considerare la donna come un oggetto sul quale esercitare un vero e proprio potere e controllo.
Proprio per combattere questa impostazione sociale, intorno agli anni 60-70 iniziano a nascere i primi centri antiviolenza, intesi come spazi di ricerca della libertà e dell’autonomia delle donne che vogliono uscire dalla condizione di oppressione e di inferiorità vissuta e percepita nei rapporti con gli uomini.
I centri antiviolenza acquistano sempre più importanza nel settore, andando a svolgere, in maniera incisiva, un’attività politica per organizzandosi in maniera sempre più sistematica, con l’obiettivo di diffondere a tutti i livelli della società una “cultura di genere” che sostenga i diritti delle donne.
Da circa un anno, nel Vallo di Diano, opera una di queste strutture, il Centro Antiviolenza “Aretusa”, gestito dall’Associazione Differenza Donna ONG, dal 1989 è impegnata nel contrastare il fenomeno sociale della violenza maschile contro le donne.
Il Centro offre alle donne ascolto e sostegno gratuito e, attraverso incontri programmati e periodici, una valida assistenza professionale, tutta al femminile, da parte di operatrici, avvocate e psicologhe.
I vari servizi offerti – che vanno dall’ascolto telefonico (chiamando al numero 0975.1966166 oppure al numero verde 800413300), ai colloqui individuali, fino al sostegno ai percorsi di uscita dalla violenza, oltre alla consulenza legale – vengono svolti da operatrici qualificate che garantiscono l’anonimato e la privacy.
Ad oggi sono state numerose le donne che hanno deciso di rivolgersi al Centro e che hanno trovato un valido sostegno nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza.
L’impegno di questo Centro, risorsa fondamentale per il nostro hinterland, come quello di tutti i centri presenti sul territorio nazionale ed internazionale, è quello di permettere a quante più donne possibili di riacquistare la propria dignità e libertà, e non dover mai più subire nessuna violenza. (Maria Garofano)