TRE GIORNI LUNGHI UNA VITA
Sabato. Il silenzio
Restare senza la messa. Non poter partecipare ad una celebrazione, fare la comunione. Quella che stiamo vivendo sembrerebbe una esperienza inedita, ovviamente per chi crede, ma non è così. Proprio il sabato santo ce lo ricorda, il giorno senza la messa. Saremmo dovuti essere già pronti, in fondo, ogni anno, viviamo un giorno senza la messa: il triduo pasquale, al suo centro, fa fare esperienza del silenzio, della meditazione, anche della solitudine, quasi un allenamento alla quarantena. Il richiamo sembra fortissimo: quante volte abbiamo vissuto la nostra fede solo durante una celebrazione, un rito e non lo abbiamo invece fatto nel resto della giornata? Sembra ormai banale ripeterlo, così come il dirci che potremmo usare questa quarantena forzata per cambiare e migliorarci. Non so se sarà così. La storia insegna, ma spesso siamo cattivi alunni, anche in tempi di didattica a distanza. Credo sia più utile riflettere sul come consideriamo il nostro essere credenti. In fondo la nostra fede ci aveva già preparati, anche al silenzio e alla mancanza. Nelle letture del Vangelo quaresimale, assistiamo all’incontro della samaritana con Gesù in un passo ricco di simboli, come tutti gli incontri delle letture che preparano la strada alla Pasqua. Prima di rivelarsi come il Messia, Gesù dice alla donna: “…Ma viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.” Ecco, l’allenamento doveva servire a questo, essere pronti per comprendere che l’adorazione in un luogo fisico, la partecipazione alle celebrazioni con la comunità, tutti i riti esteriori, carichi di significati e simboli, sono nulla se è coinvolto solo il corpo e non l’anima. Ricordo una scritta letta in una chiesa: “Si cor no orat, invanu lingua laborat”, in un latino che non fa fatica a lasciarsi comprendere.
In uno scritto più recente dell’Arcivescovo di Milano, che sta girando in rete letto da Giacomo Poretti (compagno di Aldo e Giovanni), una signora chiusa in casa comincia a litigare con le pareti di casa, finchè non cominciano a risponderle i libri dagli scaffali e poi anche le stesse pareti, compresa quella dove sono appese le foto di famiglia: “Non arrabbiarti, puoi passare giorni interi a dialogare con loro, perché tutti sono vivi e la comunione dei santi non è un affresco su un muro antico, ma una festa che si celebra anche in casa tua, anche quando ti sembra di essere sola!”
La meditazione, l’assenza di riti, il silenzio, la comunione dei Santi: quanto conosciamo ciò in cui diciamo di credere? La domanda non è un’accusa, ma una speranza. Il senso del credere trova compimento nella Resurrezione, nelle cose ultime, ma tutto ciò che la precede, le cose penultime, come le descrisse Bonhoffer, trovano un senso solo se riusciamo a sperimentare la fede in tutti i momenti della vita. Nessuno può dirsi a priori pronto alla solitudine, alla sofferenza, alla morte, anche chi crede. Ma prima della gara, essere allenati aiuta nella fatica della prova. Nel film “Un’Impresa da Dio”, Morgan Freeman, nei panni dell’Onnipotente, ci ricorda: ”A chi pregando chiede pazienza, credi che Dio dia pazienza? O dia invece l’opportunità di essere paziente? A chi chiede coraggio, Dio lo concede… o dà l’opportunità di essere coraggiosi? A chi chiede la gioia di una famiglia più unita, credi che Dio regali sentimenti rassicuranti o l’opportunità di dimostrare amore?”
Nel ricordare la Giornata Mondiale dello Sport per la Pace e lo Sviluppo, indetta dalle Nazioni Unite, Papa Francesco ha ricordato come “in questo periodo, tante manifestazioni sono sospese, ma vengono fuori i frutti migliori dello sport: la resistenza, lo spirito di squadra, la fratellanza, il dare il meglio di sé…” Come nello sport, preghiamo di vincere, ma davanti a noi abbiamo una scelta: possiamo vedere nella corsia vuota un nemico, colmo della paura della prova o una strada con la possibilità di dare il meglio di noi stessi. Possiamo usare la Parola per allenarci alla gara della vita, sfruttare i momenti forti della comunità per vivere lo spirito di squadra, guardare all’esempio di chi ci ha preceduti per gettare lo sguardo oltre il silenzio del sabato e i silenzi della vita. Viene l’ora, ed è questa.
(Alfredo Vicinanza)