Cattolici, Resistenza e politica: un confronto con Vittorio Salemme
(a cura di Stefano Pignataro)
Vittorio Salemme, già funzionario del Ministero della Sanità,dirigente dell’Assessorato Regionale alla Sanità, nonché presidente degli Ospedali Riuniti di Salerno oltre che Direttore Generale del Policlinico di Napoli e presidente del Club Rotary di Salerno, è un affermato studioso di memoria storica e civile, attento in particolare ai temi e alle figure della ‘militanza cattolica’ nella storia contemporanea.
Vittorio Salemme è tra l’altro un esponente di rilievo della società salernitana di Storia Patria. Grande appassionato di storia politica salernitana, nella Democrazia Cristiana salernitana ha svolto un ruolo istituzionale e dirigenziale di grande importanza, tutt’oggi riconosciuta.
In occasione del 75° anniversario della Liberazione, celebrato appena qualche giorno fa nella ricorrenza del 25 aprile, nell’ambito delle iniziative promosse dall’Azione Cattolica dell’Arcidiocesi di Salerno – Campagna – Acerno, abbiamo invitato Vittorio Salemme a condividere con noi alcune riflessioni sul rapporto storico-politico esistente tra i cattolici e la Resistenza.
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Pignataro – Durante la Resistenza l’Azione Cattolica ha visto «cadere 1279 soci e 202 assistenti ecclesiastici, mentre furono insigniti di medaglia d’oro al valore ben 112 tra soci e assistenti. Le medaglie d’argento furono 384 e quelle di bronzo 358». Per Giorgio Vecchio, autore di Vita e morte di un partigiano cristiano. Giuseppe Bollini e i giovani dell’Azione cattolica nella Resistenza (edito da In dialogo) sono dati rilevanti, che inducono a un necessario «recupero della memoria associativa». Inizia così un saggio di Silvio Mengotto per l’Azione Cattolica nazionale. Alla luce di una ricerca storiografica rigorosa, l’Azione Cattolica di oggi cosa deve ai suoi giovani martiri?
Salemme – La presenza dei cattolici nella lotta di Resistenza e di Liberazione, questa c’è stata ed anche di un certo peso. Basta ricordare le cifre ed i testi che tu stesso mi hai citato in merito al numero dei caduti ed ai riconoscimenti ottenuti da quanti hanno partecipato in quanto militanti a tutto ciò desidero aggiungere solo altre due informazioni. La prima riguarda la figura di Teresio Olivelli, autore della bellissima “preghiera del ribelle”, già esponente della FUCI e dell’Azione cattolica, capo dei “ribelli per amore”, ucciso nel 1944 in un lager tedesco. Nei suoi riguardi è in corso la causa di beatificazione. La seconda, invece, si riferisce ad Enrico Mattei, capo riconosciuto della “Resistenza bianca” ed esponente del Comitato di liberazione nazionale che, in poco più di un anno, dopo il settembre 1943, riuscì a portare il numero dei volontari, a lui facenti riferimento, da 2.000 ad oltre 40.000 unità.
Pignataro – Negli anni Sessanta ed inizio anni Settanta del secolo scorso, la “Populorum progressio” di Papa Montini è considerata un testo fondamentale per una Chiesa affacciata tra la fine di un decennio e l’inizio di un altro che sarà cruciale per la storia contemporanea. A quel testo fecero capo numerosi intellettuali cattolici. Oggi si fa fatica a trovare un analogo interesse ed il medesimo impegno dei cattolici in politica. Si discorreva, fino a non molto tempo fa, di un impegno diretto dei cattolici in un vero e proprio “partito dei cattolici”. Secondo Lei, è un’utopia?
Salemme – A mio avviso, un “partito dei cattolici” non sarebbe possibile, ma nemmeno auspicabile. A voler essere attenti a quanto avvenuto nel passato, un partito dei cattolici in Italia non è mai esistito e meno male.
Il PPI, fondato da don Luigi Sturzo nel 1919, era un partito di cattolici, ma era aconfessionale e interclassista. Lo stesso Sturzo precisò: “Non ci siamo chiamati partito cattolico perché i due termini sono antitetici: il cattolicismo è universalità, il partito è politica, è divisione.”
Come ben si sa, il PPI ebbe vita breve perché, oltre ad essere oggetto, unitamente ai sindacati “bianchi”, di continue aggressioni da parte dei fascisti, fu contestato anche dalla gerarchia ecclesiastica che, in qualche modo, attribuì all’esistenza del PPI anche le aggressioni ai circoli cattolici. Queste furono particolarmente intense negli ultimi mesi del 1923 ed agli inizi del 1924, nonostante don Sturzo avesse lasciato già dal luglio 1923 la segreteria del partito, spinto a ciò anche perché ammonito da un autorevole prelato vaticano a “non creare impicci all’autorità ecclesiastica”.
Anche la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e dei suoi successori ha saputo resistere alla tentazione di coinvolgere direttamente la Chiesa nel suo impegno politico, nonostantequalche tentativo fatto tra il 1948 ed il 1953 da Luigi Gedda e dai Comitati civici. Comunque, questa linea di diversificazione rispetto alla Chiesa è stata mantenuta con una certa coerenza, anche se non si può escludere che, per ragioni soprattutto elettorali, alla DC abbia giovato apparire come “il partito dei cattolici”.
In realtà, negli anni dal dopoguerra e fino agli anni ‘90, in Italia gran parte degli iscritti ai partiti, diversi dalla DC, ha continuato a professarsi di religione cattolica e questo nessuno l’ha mai contestato: solo nei confronti del Partito Comunista vi fu una ferma presa di posizione (anche attraverso la scomunica), ma questo avvenne durante il papato di Pio XII. Ciò nonostante, non mancarono significative presenze di cattolici dichiarati nelle file del PCI (basti ricordare Franco Rodano, Felice Balbo e Adriano Ossicini). Poi, già con Giovanni XXIII non mancarono le primedistinzioni fra comunismo e comunisti.