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MONSEÑOR VICENZO PAGLIA ,POSTULADOR DE LA CAUSA DE MONSEÑOR ROMERO, DURANTE UNA CONFERENCIA DE PRENSA.

Oscar Romero, il martire dei poveri. Conversazione con Vincenzo Paglia

di Stefano Pignataro

Una ricorrenza decisamente rilevante dell’anno corrente, di cui sia la Storia contemporanea che la Chiesa Cattolica si trovano a confronto, è senza alcun dubbio il quarantennale della morte di Mons. Oscar Romero. È una morte che sin da subito fu riconosciuta come un martirio, in quanto quel 24 marzo 1980, presso la Cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza in San Salvador, l’Arcivescovo salvadoregno, pastore amato, tanto ammirato quanto combattuto dal Governo golpista e dittatoriale insediatosi nello Stato quasi contemporaneamente alla veloce affermazione di Romero nelle gerarchie ecclesiali. 

Il Governo nazionale, presieduto per ironia della sorte da un generale omonimo, Carlos Humerto Romero Mena, dopo aver preso atto di una non equidistanza dell’Arcivescovo perennemente schierato dalla parte dei “senza voce”, da parte della società sfruttata da numerose ingiustizie sociali, agì impunemente e di conseguenza. Poco dopo le 18.00, Oscar Romero cadde sotto i colpi di un sicario armato dagli “Squadroni della morte” su mandato di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ‘Arena’ (acronimo di Alianza Republicana nacionalista) sotto gli occhi atterriti dei fedeli, abituati a tanto orrore ma che forse mai avrebbero immaginato una simile impudenza ed un simile gesto di attentato alla pace e alla coscienza civile.

Su Oscar Romero ha sempre pesato un rumoroso isolamento da parte di certa fazione ecclesiastica per via di frequenti accuse che lo volevano come un vescovo molto vicino a teorie e correnti di Sinistra, fosse solo per l’aver sposato il tema della lotta delle ingiustizie sociali. A queste accuse, serenamente e con pacatezza, Romero rispondeva con un impegno costante ed assiduo non rifiutando mai l’impegno politico, ma facendo sì che esso prendesse perennemente le distanze da metodi violenti ed estorsivi. Romero, inoltre, ha sempre dimostrato un’apertura verso la militanza politica, ma a patto che essa avesse come faro e missione la lotta contro l’idolatria, l’assolutizzazione della politica e la degenerazione nella violenza e nel terrorismo.

A dimostrazione di una verità storica che ha pesato in maniera non indifferente sulla valutazione e sul giudizio storico dell’uomo di Chiesa Romero, vi sono testimonianze anche scritte (raccolte in maniera approfondita dal biografo di Oscar Romero prof. Roberto Morozzo della Rocca) di numerose prese di posizioni, molte delle quali espresse in lunghe omelie in cui il Monsignore salvadoregno esprimeva la contrarietà ad una Chiesa comunista e capitalista. E ciò perché la pecca del capitalismo è uno sguardo miope, volutamente miope che pone la felicità nella caducità delle cose terrene; non esente da critiche il comunismo, che pretende di creare una felicità degli uomini nella nostra realtà terrena. Romero era, inoltre, contrario ad un’assolutizzazione della ricchezza che porta ad un desiderio schopenhaueriano di un’accumulazione smodata delle ricchezze che fomenta i più biechi egoismi, i quali tolgono l’opportunità per la società civile di usufruire dei beni del Creato.

Con la canonizzazione di Mons. Oscar Romero, avvenuta il 14 ottobre 2018 assieme a quella di San Paolo Vi, per volere di Papa Francesco, “La Chiesa sceglie l’opzione preferenziale dei poveri” . “Sant’Oscar Romero ha voluto incarnare con perfezione l’immagine del Buon Pastore che dà la vita per le sue povere”, dichiarò Papa Francesco in Aula Paolo Vi all’incontro con oltre cinquemila pellegrini provenienti dal San Salvador.

Ad interessarsi sin da subito della Causa di beatificazione di Mons. Oscar Romero è stato S.E. Mons Vincenzo Paglia, Arcivescovo di Terni-Narni-Amelia, Presidente della Presidente sia del Pontificio Consiglio per la Famiglia che della Fondazione biblica cattolica internazionale e Postulatore della Causa di beatificazione.

Romero aveva compreso che, per cambiare il Mondo occorreva ripartire, come scrive il Vangelo, per l’amore per i poveri. Molti hanno pensato che per questa scelta per i poveri fosse una scelta politica, dettata magari da un’analisi marxista. “Lo hanno voluto uccidere per farlo tacere”, ma è “l’opposizione che ancora oggi tanti o alcuni vogliono fare allo stesso messaggio di Papa Francesco; il Vangelo non lascia il mondo così com’e”, dichiarò l’alto Prelato in un’intervista a Sir nell’agosto 2017.

Abbiamo rivolto a Mons. Vincenzo Paglia alcune domande.

Pignataro – Qualche giorno fa è ricorso il quarantennale della morte di Mons. Oscar Romero, fulgida figura missionaria della nostra Chiesa contemporanea. La sua vita, la sua testimonianza, il suo martirio così efferato hanno sempre posto l’Arcivescovo salvadoregno al centro di numerosi dibattiti storici e di fede. Il Suo lavoro di Postulatore della causa di Beatificazione è stato prezioso per giungere alla Canonizzazione. Che tipo di Missionario è stato Romero? Si può dire che è stato testimone di quella Chiesa in uscita tanto voluta da Papa Francesco, capace di concretizzare il suo precetto anche in contesti diversi e, nel caso di Mons. Romero, devastati da povertà e conflitto?

Paglia – Certamente Mons. Romero è un testimone di quella “Chiesa in uscita” cara a Papa Francesco, anche se all’epoca in cui era arcivescovo di San Salvador (1977-1980) questa espressione non esisteva. Romero si ispirava però al messaggio di estroversione missionaria del Concilio Vaticano II e in modo particolare alla Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, che di fatto rappresenta un manifesto di Chiesa in uscita, e non è un caso che Papa Francesco abbia tanta venerazione per questa esortazione apostolica di Paolo VI. 

Romero non è stato però solo un testimone volenteroso dell’evangelizzazione missionaria. Per portare il Vangelo nella vita pubblica, ben al di là dei sacri recinti delle chiese, si è impegnato per la giustizia e per difendere i poveri fino a dare la sua vita come martire. Una analogia tra lui e Papa Francesco la ritroviamo anche nel linguaggio della predicazione, in entrambi concreto e fattuale, non angelicale. Le omelie di Romero collegavano strettamente il commento biblico alla storia, esigendo, secondo lui, una “incarnazione”. Romero credeva che il Vangelo fosse una bussola per capire la storia e gli uomini. 

Qualche citazione da sue omelie: “La parola di Dio è una parola che discende dalla antica e immutabile parola di Dio, ma viene a toccare la piaga attuale, le ingiustizie di oggi, le violenze di oggi”; “Non possiamo separare la parola di Dio dalla realtà storica in cui si pronuncia, altrimenti […] la Bibbia sarebbe un libro devoto, come un libro della nostra biblioteca; ma è parola di Dio perché anima, illumina, contrasta, ripudia, elogia quanto accade oggi in questa società”; “La parola è come il raggio di sole che viene dall’alto e illumina. Che colpa ha il sole quando la sua luce purissima incontra pozzanghere, escrementi, spazzatura su questa terra? Deve illuminare queste cose, altrimenti non sarebbe sole, non sarebbe luce, non metterebbe in luce il brutto, l’orribile che esiste sulla terra”.

Pignataro – Di Mons. Romero il Mondo ha apprezzato il coraggio, la tenacia, la generosità, la lungimiranza. Lei, studiando la Sua figura, avrà senz’altro approfondito la sua formazione, essendo “figlio” diretto del Concilio Vaticano II. Quale dottrina del Concilio Vaticano II, che il giovane Romero poté far sua, avrebbe potuto influenzarlo? Si consideri anche il complesso rapporto che vi era tra Stato e Chiesa in quel contesto storico di lotte tra forze conservatrici e di sinistra…

Paglia – Mons. Romero studiò in maniera approfondita i documenti del Concilio Vaticano II che lo indussero a innovare l’antica teologia sulla quale si era formato negli anni Trenta e Quaranta, sulla base della fedeltà indiscussa al magistero della Chiesa e dei Papi – ed è questo della fedeltà al magistero un tratto della sua vita spirituale mai venuto meno. 

Del Vaticano II applicherà da arcivescovo soprattutto la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la Gaudium et Spes, che citava frequentemente. Romero parlava in maniera molto diretta di conversione e salvezza dell’anima, e quando chiedeva giustizia, ad esempio invitando i ricchi a condividere la loro ricchezza materiale con i poveri, lo faceva come una esigenza di conversione interiore e di redenzione, non come una esigenza politica, economica e tanto meno sociologica. 

Per quanto riguarda la politica, Romero diceva che la Chiesa non aveva una sua politica e non parteggiava per nessuna parte o partito, però si impegnava per la giustizia e per la pace. Romero come uomo pubblico non esprimeva una linea politica ma chiedeva il rispetto della legge, che nel suo paese era calpestata dai governi militari e adattata dalla classe oligarchica alle proprie convenienze. Dialogava con tutti: destre, sinistre, militari, rivoluzionari. Cercava per il suo paese la pace che riteneva non potesse prescindere dall’affermazione della giustizia e dalla cessazione della violenza contro gli indifesi.

Pignataro – Trova conferma storica, secondo Lei, il fatto che Mons. Romero fosse scettico della Teologia della liberazione per il timore di un distacco della propria missione spirituale? Un distacco che, forse, gli fu addirittura rimproverato quando la sua missione in difesa dei più poveri contro i soprusi dei latifondisti fu più accentuata.

Paglia – Premettiamo che la teologia della liberazione, al tempo di Romero, non era stata condannata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per le sue inclinazioni all’analisi sociale marxista,e inoltre occorrerebbe parlare di molte e diverse teologie della liberazione. 

Romero aveva simpatia per quella corrente della teologia della liberazione, espressa dal cardinale argentino Eduardo Pironio, che aveva accenti spirituali e non politici. Non era un teologo e non leggeva abitualmente testi teologici ma, nella prassi, il suo amore per i poveri lo ravvicinava alla teologia della liberazione. 

A un giornalista che gli chiese se lui si identificava con la teologia della liberazione, Romero rispose che sì, si poteva dir così, e però la teologia della liberazione che lui sposava era la stessa del magistero di Paolo VI; se differiva dalle intenzioni e dalle linee tracciate dal magistero di Papa Montini allora lui non ci si identificava. Nel linguaggio di Romero, liberazione corrispondeva a redenzione, cioè egli riconduceva la teologia della liberazione alla redenzione di Cristo sulla croce.

Pignataro – Dato il Suo studio accurato delle fonti, Eccellenza, avrà senz’altro potuto appurare i rapporti che intercorsero tra Mons. Oscar Romero e la Santa Sede, rappresentata a quel tempo, da San Giovanni Paolo II. La storia non è mai stata concorda nel definirei rapporti che intercorsero tra Romero e Papa Giovanni Paolo II. Si vociferò, all’epoca, di un allontanamento, di un ammonimento o addirittura di un isolamento da parte del Vaticano rispetto all’Arcivescovo di San Salvador. (Ne fu testimonianza l’incontro, drammatico, che Romero ebbe con il Papa nel 1979). Papa Giovanni Paolo II, come sappiamo, ha omaggiato più volte Romero e ne ha promosso egli stesso la Causa di beatificazione. Dopo quarant’anni, quale conclusione si può trarre?

Paglia – Due furono gli incontri fra Romero e Giovanni Paolo II. Il primo, nel maggio 1979, lasciò Romero incerto nel giudizio sull’udienza e sulla relazione con il papa; il secondo, nel gennaio 1980, fu molto fraterno e Romero ritornò in Salvador felice. Cosa non sarebbe andato bene nel primo incontro? Giovanni Paolo II non conosceva direttamente la situazione del Salvador, e appena salito al soglio pontificio ancora poco conosceva la situazione dell’America Latina. E aveva ricevuto informazioni negative su Romero da cardinali e vescovi che non gli volevano bene. Pertanto volle anzitutto conoscerlo, gli fece domande, cercò di capire chi fosse e cosa stesse accadendo in Salvador. Romero dovette fare al papa una buona impressione perché alla fine del colloquio Wojtyla gli disse che in Curia era stata proposta la sua rimozione da Arcivescovo ma lui riteneva che questa proposta non dovesse essere accolta. Romero non immaginava che i suoi avversari, ecclesiastici e laici, fossero a un passo dal farlo rimuovere mediante l’autorità della Santa Sede. 

Il fatto che il papa cercasse di capire, invece di espandersi in sentimenti di fraternità e incoraggiamento come aveva fatto il predecessore, Paolo VI, in precedenti incontri, confuse Romero. Ma di fatto Giovanni Paolo II si era schierato a suo favore non appena aveva potuto conoscerlo. 

Nel secondo incontro, voluto personalmente da Wojtyla poiché Romero era a Roma di passaggio senza aver richiesto udienza, Giovanni Paolo II fu affettuoso e solidale con l’arcivescovo salvadoregno perseguitato in patria. Romero si sentì rincuorato e manifestò più volte, al suo ritorno, questo sentimento.

Pignataro – Dopo quarant’anni, qual è dunque il messaggio missionario di Mons. Romero che la Chiesa universale oggi dovrebbe fare proprio? Concentrandosi in particolar modo sulla presenza della Chiesa cristiana in America Latina…

Paglia – Mons. Romero era un amico dei poveri, aveva fatto sua l’opzione preferenziale per i poveri, i deboli, gli afflitti, le vittime dell’ingiustizia e della violenza. Questa opzione rimane valida anche oggi e vede in Romero un testimone eccezionale, riconosciuto come tale sia dal variegato mondo cristiano sia dal mondo laico (le Nazioni Unite hanno eletto il 24 marzo, giorno dell’uccisione di Romero, Giornata mondiale per il diritto alla verità per le vittime delle violazioni dei diritti umani, definizione un po’ tortuosa che fa comunque di Romero un campione universale dei diritti umani). 

La Chiesa in America Latina dovrebbe guardare a Romero come a un vescovo, un pastore, che ha unito grande serietà ecclesiastica, grande fedeltà al suo magistero, grande senso del sacerdozio, con un “esagerato” amore per le donne e gli uomini del su tempo, con una partecipazione appassionata alla storia del suo popolo. Rigore interiore e obbedienza a Dio, per un verso; apertura pubblica alla storia e lotta al male nella società, per un altro. Questi due tratti erano, in Romero, fusi in uno. 

La Chiesa latinoamericana dovrebbe imparare da Romero a essere, per usare parole di Papa Francesco, “Chiesa in uscita e “ospedale da campo” per i più deboli e feriti, senza per questo secolarizzarsi e annacquare la primaria identità nella preghiera, l’inesausto richiamo a interiorità e coscienza soggettive, le premesse spirituali del suo fare.

Note

Un ringraziamento particolare al Gruppo FUCI “San Gregorio VII” di Salerno, al Gruppo diocesano MEIC “Mons. Guido Terranova” di Salerno ed ai rispettivi assistenti e presidenti Don Francesco Sessa e Rocco Pacileo. 

Il presente saggio si presenta come un’anticipazione del Convegno di studi in corso di preparazione sul quarantennale della morte di Mons. Oscar Romero, atteso a Salerno e che vedrà, tra gli illustri relatori, anche Mons. Vincenzo Paglia.

La bibliografia su Oscar Romero – dato il largo interesse che la sua figura ha suscitato, suscita e continua a suscitare – è molto vasta. Per una lettura aggiornata della biografia, si consiglia: Roberto Morozzo della Rocca, Oscar Romero. La Biografia, con prefazione di Andrea Riccardi. Edizioni San Paolo, 2018.

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