Ritratto di Vittorio Bachelet: una riflessione sulla sua figura a quarant’anni dall’uccisione
Chi è Bachelet? Il Presidente! Sì, proprio così. Vittorio Bachelet è stato il Presidente dell’Azione Cattolica Italiana, l’ispiratore della “scelta religiosa”, del rinnovamento dello Statuto, della nascita dell’Acr, della “obbedienza in piedi” alla Gerarchia, del dialogo e della riconciliazione in un periodo difficile per il nostro Paese, coniugando in modo amorevole ed ammirabile gli impegni familiari, associativi e di lavoro. Le belle circostanze che hanno segnato la sua vita – la vita dell’Italia intera e dell’Azione Cattolica – non bastano tuttavia per descrivere la figura di Bachelet, perché egli era soprattutto un sognatore, un visionario, una mente prodigiosa che pensava al tempo presente proiettandosi nel futuro con slancio, con entusiasmo, con progetti. La sua era una visione che mirava ad unire Chiesa e società, impegno ecclesiale ed associativo nella ricerca del bene comune.
La stessa “scelta religiosa” non fu una scelta di isolamento dell’AC dal resto del mondo; non fu un ritrarsi nella chiesa, nelle salette, ma fu (ed è) un riscoprire la centralità di Cristo da cui dipendono tutte le cose. Se facciamo questo, tutto il resto sarà una benevola conseguenza. Se mettiamo Gesù al centro della nostra azione, la società, la politica, la Chiesa saranno più belle, perché saranno più accoglienti. La scelta religiosa ha rinnovato l’Azione Cattolica ed ha attuato il Concilio; con la scelta religiosa Bachelet ha invitato l’Azione Cattolica a ricercare l’essenziale che riempie la vita, a mangiare il boccone che sazia la fame, a perseguire i valori evangelici per amare il mondo. Vittorio Bachelet andava alle radici degli insegnamenti di Cristo e non voleva che la dottrina li soffocasse; riteneva che il cristiano – tanto più il socio di AC – deve riconoscere il primato della Parola di Dio. E chi mette Dio al centro della propria vita è capace di servire la vita dell’altro, povero o affamato, assetato di giustizia o bisognoso di amore, ammalato o carcerato, isolato o rifugiato. Chiunque entrava in contatto con Vittorio Bachelet ribadiva la sua grande umanità, la sua serenità; aveva sempre il sorriso sulle labbra, un sorriso di pace, un sorriso che infondeva sicurezza ed allegria, perché il cristiano è una persona gioiosa. Bachelet amava il dialogo e si adoperava per la riconciliazione della realtà lacerata da tante divisioni. Al terrorismo che stava dilaniando la società italiana, che gli aveva ucciso in modo cruento tanti amici, su tutti Aldo Moro, rispose con il rifiuto della scorta per non mettere a repentaglio la vita di altre persone. Mentre il terrorismo mirava a dividere la società, a metterla in ginocchio uccidendo gli uomini migliori delle Istituzioni, Bachelet chiedeva di restare uniti e lo faceva anche nel Consiglio Superiore della Magistratura. All’odio e alla rabbia egli rispondeva con il perdono, quel perdono che i suoi familiari il giorno del suo funerale seppero subito dare ai carnefici, perché gli insegnamenti del Presidente volevano questo. E, infatti, dopo le prime stragi terroristiche diversi esponenti della politica e della magistratura chiedevano la pena di morte, Bachelet rispondeva che la risposta doveva essere ricercata nella Costituzione ed anche nell’art. 27 che impone la rieducazione del reo. Egli offriva sempre soluzioni condivise, si sforzava di fare sempre nuove proposte che potessero avere la maggiore unità possibile. Citando Bonhoffer, uomo di grande spiritualità, ripeteva che “Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa. Per questo egli ha bisogno di uomini che si pongano al servizio di ogni cosa per volgerla al bene. Io credo che Dio, in ogni situazione difficile, ci concederà tanta forza di resistenza quanta ne avremo bisogno. Egli però non concede in anticipo, affinché ci abbandoniamo interamente in lui e non in noi stessi. Ogni paura per il futuro dovrebbe essere superata con questa fede.” La riconciliazione era l’anima dell’impegno di Vittorio Bachelet, un fine da perseguire con tutte le forze; non è facile riconciliare, perché occorre prima di tutto essere riconciliati con Dio e con se stessi. Bachelet sapeva riconciliare, perché era un uomo mite che aveva posto al centro della sua vita l’amore per Gesù e per l’altro, il dialogo costante e costruttivo con gli altri, il servizio al fratello, un servizio di carità non solo nei rapporti personali, ma anche nella costruzione del bene comune. Bachelet era capace di leggere i tempi, di viverli con passione, di incontrare le persone lasciando loro un seme di vita vera. Noi suoi eredi siamo capaci di fare lo stesso? Riusciamo nei nostri incontri di Azione Cattolica, nei ritiri spirituali, nelle preghiere, nei convegni, nei campi scuola a porre le basi per accogliere l’altro? Siamo in grado di aprire le porte delle salette parrocchiali e delle chiese per fare entrare altre persone? Riusciamo a raccontare alla comunità, al quartiere, alla città che cos’è l’Azione Cattolica? Sappiamo coinvolgere nelle nostre iniziative il maggior numero di persone oppure siamo elitari e ricerchiamo l’esclusività della sequela di Cristo? Crediamo che Cristo sia venuto per tutti oppure per una nicchia di eletti? Parlando dell’Azione Cattolica nel suo ultimo discorso da Presidente nell’Assemblea nazionale del settembre del 1973 egli ne dava una definizione stupenda: “Ne abbiamo parlato molto, ma mi pare che sia soprattutto una realtà di cristiano che si conoscono, che si vogliono bene, che lavorano assieme nel nome del Signore, che sono amici: e questa rete di uomini e donne che lavorano in tutte le diocesi, e di giovani, e di adulti, e di ragazzi e di fanciulli, che in tutta la Chiesa italiana con concordia, con uno spirito comune, senza troppe ormai sovrastrutture organizzative, ma veramente essendo sempre più un cuor solo e un’anima sola cercano di servire la Chiesa. E questa è la grande cosa. Perché noi serviamo l’AC non poi perché c’interessa di fare grande l’AC, noi serviamo l’AC perché c’interessa di rendere nella Chiesa il servizio che ci è chiesto per tutti i fratelli. E questa credo sia la cosa veramente importante.”
E la nostra AC a che punto è? Cerca di seguire le parole del Presidente? Persegue la scelta religiosa? A conclusione dei lavori assembleari del 1973 e del suo mandato, Bachelet, richiamando Tagore (poeta bengalese del di fine 800), disse “Io dormivo e sognavo che la vita non era che gioia; mi svegliai e ho visto che la vita non era che servizio. Io ho servito e ho visto che il servizio era gioia”. Che tutti noi sappiamo davvero riscoprire che il servizio è la gioia.
(Marcello Capasso – Coordinatore CS)
(articolo pubblicato su CS il 13 febbraio 2020, all’indomani del 40° anniversario della morte.)