La riforma del processo penale tra le modifiche legislative ed i comportamenti degli operatori del diritto
Quante volte abbiamo sentito parlare negli ultimi trenta/quarant’anni di riforma della giustizia? Quante volte sono effettivamente cambiati il diritto processual-penalistico ed il diritto processual-civilistico? Se a questo aggiungiamo i titoloni dei giornali per ogni provvedimento in materia di giustizia, i processi mediatici, la violazione costante dei segreti dell’istruttoria, la pubblicazione di notizie riguardanti gli indagati senza che fossero a conoscere della loro posizione, la corsa alla poltrona di magistrati con la collusione di componenti del Csm, la corruzione giudiziaria di avvocati, non può che aumentare in modo esponenziale la confusione del cittadino medio che vorrebbe capire se il suo processo avrà o meno una ragionevole durata come sancito dall’art. 111 della nostra Costituzione (La legge ne assicura la ragionevole durata) e se la sentenza sarà più o meno giusta.
Troppe le condanne (1202) della Corte di giustizia europea per la durata non ragionevole dei processi, il doppio di quelle della Turchia e questo rende l’idea del problema anche se, a parere di chi scrive, meglio una giustizia lenta, ma giusta che una veloce, sommaria ed ingiusta.
In ogni caso, c’è mai stata una vera riforma dell’intero sistema giustizia in questi anni?
Nel processo penale il Legislatore non è mai partito dalla fase delle indagini preliminari per giungere al procedimento che si svolge innanzi al Tribunale di sorveglianza per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione in carcere. Altrettanto si può dire per il processo civile per il quale il Parlamento da tempo dovrebbe studiare, approfondire, soprattutto con chi vive i disagi della giustizia ognigiorno, ed approvare una vera riforma che parta dal primo articolo del codice di procedura civile per giungere fino alle ultime norme in materia di arbitrato; lo stesso per i processi tributari, amministrativi e contabili in cui si va avanti nella digitalizzazione ed informatizzazione dei procedimenti, ma poco si fa per rendere più efficiente ed efficace il sistema.
Peraltro, ad oggi ci sono tante piattaforme processuali, praticamente una per ogni settore del diritto che rischiano di rendere difficile l’accesso alla giustizia tenuto conto dell’estrema specializzazione e farraginosità di ogni procedura telematica.
Un grandissimo studioso del diritto, nonché Padre costituente quale Piero Calamandrei diceva che tutta la storia del processo, dalle formulae del diritto romano, alle positiones del diritto comune, dagli statuti italiani alle coutumes francesi, è, in sostanza, fino a giungere alle codificazioni, la storia della trasformazione della pratica giudiziaria in diritto processuale…Allora, se si vuol dar credito alla sentenza dei giudici, si cominciano a cercare nei meccanismi sempre più precisi della procedura le garanzie per assicurare che essa sia in ogni caso il prodotto, non dell’arbitrio, ma della ragione».
Pertanto, non è stato ragionevole inserire nelle ultime leggi di bilancio, senza riformare in modo organico il sistema giustizia, diverse norme introdotte hanno creato probabilmente più problemi alla giustizia civile di quanti ne hanno risolti.
Le regole sono cambiate spesso, ma la macchina giudiziaria non è stata modificata tanto, non è stata sottoposta a revisione, al tagliando e le sue disfunzioni hanno avuto una ricaduta sulla società; d’altra parte è curioso come tante persone si lamentino dell’eccessiva durata dei processi, ma poi quando sono debitori vogliono che il processo non finisca mai!
E quante volte in ambito penale un imputato che si è sempre lamentato della durata del processo ha poi beneficiato del decorso del tempo indicato dalla legge per la declatoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione?
La riforma del giustizia penale e di quella civile sono necessarie, direi indispensabili, ma devono essere sistemiche, devono cioè riguardare tutte le fasi del procedimento, non servono più dei piccoli interventi tampone per delle parti dei vari codici.
Con la riforma Cartabia la direzione sembra essere quella giusta e l’auspicio è che si possa fare meglio e di più cercando di innovare tutte le procedure mantenendo lo spirito degli illustri giuristi che ci hanno proceduto quali Calamandrei, Carnelutti, Chiovenda, Mortara, Mortati, Rocco, Giugni, Vassalli………
Il ministro Cartabia è una persona competente (già presidente della Corte Costituzionale), equilibrata e consapevole della necessità di giungere ad un “sano compromesso” tra le varie istanze dei partiti e movimenti parlamentari; il metodo da lei attuato è stato l’ascolto degli addetti ai lavori più di quanto abbiano fatto i suoi predecessori.
Venendo all’esame della riforma del processo penale, è positivo prevedere che la richiesta di rinvio a giudizio da parte del magistrato del pubblico ministero — e la conseguente decisione del giudice dell’udienza preliminare — dovrà avvenire sulla base di una «ragionevole previsione di condanna» dell’imputato, e non più, come ora, quando ci sono elementi che consentono di sostenere l’accusa in giudizio.
Con la riforma vengono ridotte le ipotesi di passaggio dei procedimenti per le udienze preliminari ed aumentate le ipotesi di citazione diretta in giudizio; forse sarebbe stato più opportuno prevedere una vera udienza filtro, in cui i magistrati formassero il proprio convincimento in una sana dialettica processuale con i difensori per giungere ad un maggior numero di archiviazioni allorquando non c’è, come dice la stessa riforma, una ragionevole possibilità di condanna.
Per ridurre la durata dei tempi dei processi è stata aumentata la possibilità di ricorrere a riti speciali o alternativi con la previsione dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) estesa alle pene accessorie, alla loro durata, nonché alle confische facoltative, al loro oggetto ed ammontare; positiva dovrebbe essere la riduzione di pena (attualmente di un terzo) per chi sceglie il giudizio abbreviato,perché verrà ridotta diun ulteriore sesto se l’imputato rinuncerà all’impugnazione della sentenza.
In ossequio alle ultime decisioni della Suprema Corte, nel caso del cambiamento di uno o più giudici di un collegio, le testimonianze videoregistrate non dovranno essere ripetute, se non per specifiche esigenze.L’allargamento del perimetro della causa di non punibilità per tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) è sicuramente una cosa positiva in quanto tanti reati bagattellari (di scarsa rilevanza sociale, senza offensività e danno effettivo) non possono e non devono ingolfare le aule di Tribunale; prevedere l’aumento dei casi di messa alla prova che potrà essere richiesta anche dal magistrato del pubblico ministero e delle condotte riparatorie e di lavoro di pubblica utilità sono dei punti positivi della riforma. Venendo al nodo cruciale della riforma ovvero alla prescrizione, la riforma prevede che dopo la sentenza di primo grado essa cesserà di decorrere sia per gli assolti che per i condannati, ma scatteranno per i processi d’appello e in Cassazione tempi tassativi superati i quali verrà dichiarata l’improcedibilità: due anni per il secondo grado e un anno per il giudizio di legittimità.
Nondimeno, per reati gravi come mafia, terrorismo, droga, corruzione le violenze sessuali, così come per procedimenti particolarmente complessi, i termini di durata massima possono essere prorogati fino a tre anni in appello e un anno e mezzo in Cassazione. Il decorso dei termini per l’improcedibilità viene sospeso con gli stessi criteri utilizzati ora per interrompere il decorso della prescrizione, in modo da evitare manovre dilatorie; in caso di stop al procedimento penale il giudice civile può ugualmente decidere su eventuali risarcimenti in favore delle parti lese. Di fatto questi tipi processi non si estingueranno mai.
Con la riforma resta la possibilità di proporre appello nelle altre sentenze, sia di condanna che di assoluzione, da parte del pm e dell’imputato; vengono, poi, recepite dalla legge le cause di inammissibilità per motivi troppo generici e non specifici già sancite dalla Cassazione.
Per garantire che l’esercizio dell’azione penale risponda a principi di efficacia ed efficienza, le Procure dovranno indicare le loro priorità, in maniera «trasparente e predeterminata», nei progetti organizzativi da sottoporre al Consiglio superiore della magistratura, nell’ambito dei «criteri generali» individuati con legge dal Parlamento; occorrerà operare con equilibrio, verificando nelle varie aree del Paese quali sono le urgenze a cui dare una risposta; bisognerà ad esempio evitare di perseguire reati di poco conto ovvero accanirsi contro questo o quell’amministratore locale cercando di influenzare le elezioni. Bisognerà rispondere ai reali problemi della gente a cui serve un giudice che gli dia risposte quando gli è stato prosciugato il conto da un truffatore on line, quando la movida è troppo fastidiosa e delinquenziale ovvero ancora quando un amministratore in modo pervicace continui ad operare senza il rispetto delle più elementari norme costituzionali.
Si dovrà, ovviamente continuare la guerra contro ogni forma di criminalità organizzata, lavorare in modo efficace per la difesa dell’ambiente, combattere la violenza sulle donne e difendere ogni altra categoria fragile.
La digitalizzazione del processo è un altro punto della riforma che viene incentivata sulla base di quanto già accade nel processo civile introducendo la possibilità del deposito degli atti e le notificazioni per via telematica, per garantire una ulteriore accelerazione dei tempi; anche in questo caso occorrerà rendere effettiva questa previsione legislativa investendo molto di più di quanto non si faccia ora; i cittadini dovranno, in ogni caso, avere piena consapevolezza di quello che sta accadendo in quanto le notifiche via pec sono rischiosissime nel processo penale in cui è in ballo la libertà delle persone.
La riforma avrà ricadute positive sulla società se tutti i magistrati del pubblico ministero non concedano interviste fiume su indagini in corso, non annuncino indagini sensazionali che si concludono con poche condanne, molte assoluzioni nel merito e tante declatorie di prescrizione.
È mai possibile che un magistrato del pubblico ministero perda tempo in tv, sui giornali ovvero sui social? Come molti virologi passano troppo tempo in tv, negli anni abbiamo assistito a tanti magistrati del pubblico ministero alla ricerca della visibilità con la partecipazione a tante trasmissioni televisivi senza concludere nulla di significativo; il magistrato è come l’arbitro di calcio, se decide di essere protagonista finisce con il falsare (anche involontariamente) la partita; se rispetta, invece, le regole del gioco che per un magistrato sono sancite nella costituzione e nell’ordinamento giudiziario, allora il suo lavoro sarà efficace. In proposito, senza voler fare nomi, quante volte i magistrati impegnati con successo nella lotta antimafia apparivano ed appaiono in tv? I magistrati requirenti e giudicanti che studiavano e studiano i processi sono stati e sono esempi da imitare, seguire perché grazie a loro la società ha compreso l’entità di problemi atavici quali quelli legati alla criminalità organizzata.
I magistrati dei primi pool antimafia riuscirono ad incardinare processi con tantissimi imputati e tante condanne e andavano in tv (e sui giornali) in modo molto misurato.
Nel 2017 l’allora vice-presidente del Csm Giovanni Legnini durante un intervento alle camere penali di Roma affermava che «in nessun Paese europeo è consentito passare con tanta facilità dai talk show o dalle prime pagine dei giornali a funzioni requirenti e giudicanti, fino alla presidenza di collegi di merito o della Cassazione. Risolvere questo problema è un dovere che spetta a tutti i protagonisti che tengono al rispetto, sacrosanto, dell’indipendenza della magistratura che anche i cittadini devono percepire. Non è in discussione la libertà d’espressione, ma c’è bisogno di recuperare senso di responsabilità e un esercizio equilibrato delle funzioni.»
Secondo un calcolo effettuato qualche tempo fa dal ministero della Giustizia (uno studio pubblicato nel 2018 per l’anno 2017), in Italia, il 62% dei processi penali non arriva in aula, ossia cade in prescrizione durante lo svolgimento delle indagini. Tale statistica lascia senza parole, anche se va letta tenendo conto delle tante denunce che il singolo cittadino propone ogni giorno perché il suo vicino gli ha fatto cadere dell’acqua sul suo balcone ovvero l’amministratore di un ente locale venga accusato di un abuso di ufficio che poi di fatto non c’è stato.
Se la maggioranza dei procedimenti si prescrive nella fase delle indagini, cade il falso mito secondo cui è esclusiva responsabilità degli avvocati se i processi non giungono a conclusione; ed invero, gli avvocati non incidono (se non marginalmente) sulla durata delle indagini preliminari e non hanno la facoltà di fissare il calendario delle udienze; se l’avvocato chiede un rinvio, il giudice del dibattimento può non concederlo ovvero se lo concede, ad esempio per l’assenza dei testi, può farli coattivamente accompagnare in aula per la successiva udienza. D’altro canto, i difensori dovrebbero essere sempre leali nel dialogo con la magistratura cercando di determinare insieme le regole del gioco per lavorare serenamente nelle aule di giustizia. Infatti, nel processo giudici e avvocati sono come specchi; ciascuno, guardando in faccia l’interlocutore, riconosce e saluta, rispecchiata il lui, la propria dignità (P. Calamandrei, Processo e democrazia, Padova, 1954, p. 1)
Da ultimo, è bene precisare che nessuna riforma, nessuna legge avrà effetti positivi sulla società se non risponde ad una sua reale necessità (fin qui ci siamo) e se tutti gli operatori della giustizia (avvocati, magistrati, cancellieri, ufficiali giudiziari) non lavoreranno indefessamente, con competenza ed equilibrio.
Avv. Marcello Capasso (Coordinatore CS)