Armida Barelli, una donna “alta tra due secoli”
di Maristella Conte
La figura di Armida Barelli è “alta tra due secoli”, anzi fra le due ere della civiltà della donna: l’era della sottomissione più o meno incondizionata e l’era dell’autonomia economica e giuridica.
Armida nacque nel 1882 e morì nel 1952. Nacque nell’età umbertina e morì in quella repubblicana; nacque nel periodo del Positivismo e dell’anticlericalismo più ostili alla Chiesa e morì quando l’Italia cercava di rientrare nell’alveo cattolico; nacque quando le ragazze perbene non uscivano sole, non studiavano nelle scuole maschili, non partecipavano alla vita pubblica e morì quando le donne cominciavano ad avere libertà di movimento.”
Questo è il quadro che la scrittrice Maria Sticco delinea e che occorre tenere presente per capire quanto fu rivoluzionaria l’intuizione della Barelli per rompere gli schemi in cui le donne erano costrette.
Ricondurre la società dal laicismo imperante alla Chiesa, nel rinnovamento di una coscienza cristiana del laicato è il passaggio concreto che realizza Armida Barelli, la quale nasce da una famiglia che la cultura aveva separato dalla tradizione cattolica e dedica tutta la sua vita all’adesione e alla volontà di seguire sempre Gesù Cristo.
Era bella, elegante, intelligente e vivace, appartenente alla buona borghesia milanese e, come tutte le ragazze del suo tempo, poteva aspirare al matrimonio, ma Ida sentiva che doveva orientarsi diversamente. La sua dedizione a Cristo era cominciata a 16 anni nel collegio delle Suore tedesche di Menzingen dove con l’amica Agata Braig aveva maturato la vocazione di entrare in convento. Ma nemmeno questa era la sua strada da percorrere. La sua ricerca andò contro gli usi e la mentalità del tempo. Né sposata, né suora, ma sulle strade del mondo per servire “il Grande Re, il Signore Gesù”.
Incontro decisivo per Ida fu quello con Padre Agostino Gemelli nel 1910, il giovane francescano, medico, convertito dalle file del socialismo che l’aiuterà a scoprire la visione francescana della vita la quale potenzierà il suo naturale spirito di semplicità, concretezza, amore e gioia. Padre Matèo, profugo peruviano poi le fece conoscere la devozione al Sacro Cuore di Gesù.
Nel 1913, alla vigilia della Festa del Sacro Cuore, nel Duomo di Milano Ida fece l’offerta definitiva di sé al Signore per l’apostolato nel mondo. Dirà più tardi di se stessa: “Nel fatto di aver dedicato a Cristo tutta la vita, di avergli dato in un giorno ormai lontano, con tutto l’entusiasmo del cuore, i miei anni e di essere Lui il mio unico immenso amore, ogni sua opera ha trovato sempre sensibile eco nel mio cuore.”
Padre Gemelli sintetizzò così i principi francescani a cui Armida fu fedele per tutta la vita: eliminare i desideri inutili; agire con operosità corrispondente alla propria vocazione; camminare sempre per le vie maestre, al sole; contentarsi di poco, godere di tutto; vivere giorno per giorno della povertà liberatrice; accogliere il dolore come un amico, amarlo generosamente, come segno di predilezione; fidarsi di Dio e fare sempre la sua volontà.
Ieri come oggi, il richiamo di un itinerario di vita, come quello che impegnò Armida, è ancora suggestivo e attuale. Un impegno che non toglie i difetti, lacune, difficoltà, ma che le fa superare. Ella non nacque creatura eccezionalmente virtuosa, ma lo divenne. Un temperamento come quello di Ida dovette fare i conti con la sua natura esuberante, accentratrice, poco incline al dubbio e all’ascolto paziente delle complicazioni di persone e situazioni. Ma fu la sua battaglia, il suo impegno, la sua vittoria.
Armida si impegnò in molti campi d’azione, quattro però furono i più importanti: la fondazione della Gioventù Femminile di Azione Cattolica nel 1918; la realizzazione con Padre Gemelli dell’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo nel 1919; il lavoro di “cassiera” dell’Università Cattolica dal 1921; la promozione dell’Opera della Regalità nel 1929.
È nota la circostanza inaugurale della Gioventù Femminile di AC. Quando, nel 1918, il Cardinale di Milano, Andrea Ferrari, chiamò Armida Barelli in Arcivescovado, egli aveva in programma di far uscire i cattolici dalle sacrestie: si preoccupava dell’educazione religiosa e sociale delle donne e voleva formare una commissione provvisoria che fosse guidata da una “donna giovane, ma non giovanissima; intelligente, ma non intellettuale; conciliante, ma non cedevole; attiva, organizzatrice, libera da impegni di famiglia e di lavoro, dedita senza tentennamenti alla causa di Dio”.
Il cardinale, che aveva sentito parlare di Armida , la convocò e le disse: “Vuole aiutare il suo Arcivescovo per un nuovo Movimento di gioventù femminile?” “Volentieri Eminenza, purché si tratti di un lavoro a tavolino, di beneficenza”. Il Card. Ferrari le rispose secco: “No, si tratta di diventare propagandista, di andare nelle parrocchie della diocesi, di chiamare a raccolta le giovani e controbattere la propaganda marxista”. La Barelli fu spontanea: “Andare fuori Milano? Parlare in pubblico? No, no Eminenza. Qualunque cosa, questo non è per me”. Il Cardinale chiuse: “Avrei dovuto essere preparato al suo rifiuto: dai ricchi non si ottiene nulla”. Queste parole sferzanti colpirono la borghese Ida. Ne parlò al suo padre spirituale, che le disse: “Bel sistema! Dio le chiede una cosa, attraverso il suo Arcivescovo e lei gliene propone un’altra! Perché vuole seguire Dio a modo suo? Questa non è povertà di spirito”. Armida si convinse e ritornò dall’Arcivescovo dicendosi “pronta a tutto”. Da Milano, dopo l’adesione delle giovani alla prima Scuola di Propaganda della nascente Gioventù Femminile, impostata sui temi sociali, il Papa Benedetto XV la chiamò a Roma per estendere l’esperienza di Milano a tutta l’Italia. Dal Papa era andata con l’idea “nulla chiedere e nulla rifiutare alla Chiesa”, ma convinta di volere andare missionaria in terre lontane. Il Papa, sentite le sue ragioni le disse:” Ma su chi deve contare la Chiesa, se non può contare sui figli suoi? La sua missione è l’Italia. Rispondiamo noi a Dio della sua vocazione”. Scendendo le scale del Vaticano Ida dirà:” Ebbi la strana impressione di non appartenermi più”. Questa obbedienza alla Chiesa, congiunta alla spoliazione della propria visione personale, insieme al paziente superamento dei propri limiti, delle angosce e delle paure contrassegnarono lo stile che la condusse nella realizzazione di questa grande opera. La proposta della Barelli fu accolta da migliaia e migliaia di ragazze in tutta Italia. Gli assistenti spirituali della GF formarono una generazione di donne preparate spiritualmente, culturalmente e umanamente ad assumere responsabilità nella chiesa e nel mondo. Molti furono anche i suoi limiti, ma non si potrà mai esprimere fino in fondo che cosa essa rappresentò nella vita personale delle giovani donne che vi appartennero, né si potranno mai descrivere gli entusiasmi, i cambiamenti, le scelte coraggiose che ne seguirono.
Basti pensare che nel 1946 oltre un milione di giovani donne erano associate alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Un fatto rilevante che non ebbe più uguali in seguito. Avevano aderito ad una associazione che richiedeva un impegno di studio, di partecipazione attiva alla vita della Chiesa e della società, un’impostazione rigorosa e vivace della vita.
Se tutte queste donne hanno vissuto in maniera diversa la loro vita cristiana non fatta più di individualismo ed intimismo sentimentale, ma piena di dedizione agli ideali e al servizio fino all’eroismo e alla santità ciò si deve sicuramente all’opera della nostra “sorella maggiore”.
Ida ha fondato tutta la sua esperienza di vita in Dio e Dio sarà amato da lei anche nel dolore e nella croce. La paralisi bulbare la porterà alla morte il 15 agosto 1952 dopo indicibili sofferenze sopportate tutte con grande forza. Due anni prima Ida aveva scritto: “Accetto la morte, quella qualsiasi che il Signore vorrà, in piena adesione al suo volere divino, come ultima suprema prova d’amore al Sacro Cuore di cui mi sono fidata in vita e voglio fidarmi in morte e come ultima, suprema preghiera per ciò che nella mia vita fu il sogno costante: l’avvento del Regno di Cristo quaggiù”.
* Saggio pubblicato su CoscienzaSociale. Studi e ricerche sul cattolicesimo democratico, n. 0/Novembre 2013, pp. 13-16.
Bibliografia essenziale
Lazzati Giuseppe, Parole introduttive a Armida Barelli nella società italiana, Milano 1983.
Sticco Maria, Una donna fra due secoli. Armida Barelli, Milano 1983.