AC e lavoro. La questione socio-ambientale nel cammino assembleare
di Orazio Brogna
Che fossimo chiamati a vivere un tempo eccezionale, lo sapevamo già dal di dentro dello scorso percorso assembleare, sebbene non con quella portata che di lì a poco ci avrebbe tutti un po’ spiazzati. Del resto, il cristiano, e quindi il laico di AC, è chiamato a fare la differenza in ogni tempo, ancor di più in quello che pare umanamente avverso, e che attraverso di noi diverrebbe invece un tempo proficuo per l’opera dello Spirito. Sarebbe quel tempo in cui fare (per tutti) nuove tutte le cose; ma la debolezza umana, si sa, ama restare ancorata a certezze dei modi terreni, di cui difficilmente farebbe a meno. Un “tempo forte” del vissuto associativo (e non solo), nel quale siamo entrati già da alcune settimane, è anche occasione per fare più discernimento del solito, toccando con mano la vita delle persone che incontriamo e che ci sono affidate, dando voce soprattutto a quelle tante di loro che di certezze ne hanno sempre meno. Un tema indubbiamente ricorrente e trasversale a tutte le età, sappiamo già tutti bene quale sia; parlarne è sempre bene, ma resta la sensazione che si incida poco nel perseguire il bene comune, e ci dovrebbe interrogare. Il lavoro pare essere diventato il grande malato del nostro tempo, non solo per chi non ne ha, ma anche per chi ce l’ha ed è anche dignitosamente retribuito; lo è o lo sta diventando anche per chi si è degnamente congedato, trovandosi spesso a dover sostenere i familiari più giovani in condizioni precarie, con l’incertezza che le generazioni successive riescano effettivamente a sostenere nel tempo la spesa pensionistica e tener così fede al patto intergenerazionale di mutualità. C’è chi si dispera, quasi a farsene una colpa, per non aver potuto dare seguito alle proprie aspirazioni, semmai anche per un torto subito nella scala del merito, o che non ha trovato quel minimo di serenità, per formare o mantenere una famiglia, pur senza chiedere troppo in cambio. C’è chi di lavoro poi si ammala, o perché sfruttato e maltrattato o perché iperconnesso, che al di là del proprio salario, vede continuamente calpestata la propria dignità di persona, ancor prima di lavoratore. C’è anche chi purtroppo di lavoro muore, o ne resta segnato a vita, finendo presto dimenticato. Senza la pretesa di voler qui trovare la soluzione delle soluzioni, facendo un po’ di sintesi si potrebbe dire che occorre senza dubbio rimettere al centro la persona nella sua interezza. Per certi versi, tutto ciò che è scaturito dalla pandemia, inclusa la crisi economico-energetica e quella geopolitica globale, secondo un pensiero che lo si vorrebbe far apparire come dominante, vedrebbe tante singole persone come sacrificabili, purché nel complesso vi sia un certo complessivo benessere (e, preciso, non bene comune), che se vi è, resta comunque di pochi, e viene misurato perlopiù in ricchezza materiale. Ma dalla Parola sappiamo che degli uomini non bisogna aver paura, che tutti gli uomini hanno un valore incommensurabile al cospetto di Dio, di quello stesso Dio fatto uomo, il solo sacrificatosi per tutti. E’ questo sicuramente un tempo in cui siamo chiamati a far tesoro di quanto per opera dell’uomo, e sempre per mano del suo Creatore che lo ha reso compartecipe della Creazione, può essere utilizzato per il bene di tutti, a partire ad esempio dalle nuove tecnologie, senza diventare vittime dei nostri stessi processi e comportamenti di comodo. Anche attraverso lo studio più ampio, fatto di maggiore condivisione delle conoscenze, sebbene non si abbia una formazione specifica dell’argomento, vivendo in un’epoca dove il sapere, se ricercato con cognizione di causa, può essere davvero racchiuso in un palmo di mano, senza voler tuttavia banalizzarlo. Ci sono poi cambiamenti che si prospettano come inevitabili, che se affrontati per tempo, pur sempre comportando delle rinunce rispetto a ciò che già conosciamo, ci aiuteranno a preparare il Regno attraverso anche il dono della profezia, di cui troppo spesso non ne ricordiamo più la valenza. E su questo aspetto, facendo un’incursione anche sulla crisi climatica e la necessaria conversione ecologica, mi appresterei a conclusione con un passo della recentissima esortazione Laudate Deum di Papa Francesco, che andrebbe tenuto a mente anche per altri settori del mondo lavorativo: spesso si dice anche che gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico riducendo l’uso di combustibili fossili e sviluppando forme di energia più pulita porteranno a una riduzione dei posti di lavoro. Ciò che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie conseguenze del cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare, la siccità e molti altri fenomeni che colpiscono il pianeta hanno lasciato parecchia gente alla deriva. D’altra parte, la transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi settori. Per questo è necessario che i politici e gli imprenditori se ne occupino subito (n. 10). Lungi dall’aver voluto esemplificare aspetti che meritano ben più ampia trattazione e dibattito, mi auguro che questo mio personale pensiero Vi giunga gradito, facendo maturare con i migliori auspici una serena consapevolezza del cammino che ci attende per i prossimi mesi e che ci vedrà impegnati a vari livelli, anche attraverso l’esperienza che vive il Movimento Lavoratori di AC.