Con Don Pino Puglisi
Intervista a Vincenzo Ceruso – a cura di Alberto Cicatelli
Vincenzo Ceruso, 51 anni, autore di saggi, lavora a Palermo, presso la Consulta delle Culture per la partecipazione politica dei cittadini immigrati. Componente dell’Ufficio diocesano di Palermo per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e della Consulta per le aggregazioni laicali, è tra i responsabili in Sicilia della Comunità di Sant’Egidio. Già docente a contratto presso la Link Campus University di Catania, dove ha insegnato diritti umani, e ricercatore presso il centro studi Pedro Arrupe, si è occupato di diritti umani con Amnesty International e ha collaborato con il Comitato Addiopizzo e con diverse testate, tra cui Segno, LiveSicilia, Voci, Narcomafie e Aggiornamenti Sociali. Nel 2007 ha pubblicato Le Sagrestie di Cosa nostra, un’inchiesta sui rapporti tra chiesa e mafia. Sono seguite diverse pubblicazioni sul tema della criminalità organizzata. Per le edizioni San Paolo ha pubblicato nel 2013 A mani nude, un saggio su don Giuseppe Puglisi. Più recentemente ha scritto diversi saggi-inchiesta di cui almeno due sulle stragi di mafia in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino e i loro agenti di scorta, in particolare, Le due stragi che hanno cambiato l’Italia; La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D’Amelio e, con Pietro Comito e Bruno De Stefano, I nuovi padrini.
Vincenzo, tu sei stato allievo di padre Pino, qual è stato il momento più significativo vissuto accanto a lui?
Ho avuto padre Puglisi come insegnante di religione al liceo Vittorio Emanuele II di Palermo e ne conservo un ricordo affettuoso. Era un uomo dotato di una grandissima simpatia capacità di entrare in relazione con gli altri. Mi piace dire che ho conosciuto davvero padre Pino dopo la sua morte, attraverso le opere e gli scritti del suo archivio, che raccontano di un prete che ha speso la sua intera esistenza al fianco dei più poveri e nel servizio alla Chiesa, capace di coniugare cultura e solidarietà evangelica. Un momento significativo nella comprensione della sua missione è stato per me un incontro da lui tenuto a Brancaccio, quando aveva da poco preso possesso della parrocchia. Aveva riunito i parrocchiani in assemblea e invitò a partecipare anche tanti suoi amici da altre parti della città. Alla fine dell’incontro, al momento di tirare le somme, padre Puglisi disse tra l’altro: “È tutto giusto quello che avete detto, ma qui abbiamo un problema, che è la mafia, che per esempio non permette di affittare una casa liberamente a chi lo desidera”. Mi colpì molto la concretezza di quella frase. Non era la solita invettiva antimafia. Individuava un nodo concreto nel controllo mafioso del territorio e non aveva paura a parlarne pubblicamente.
Fai finta, ti prego, di non avere me davanti a te, bensì un gruppo festoso di bambini desiderosi di conoscere meglio aneddoti, inediti curiosi o sconosciuti di don Pino e della sua missione, ma anche di te, del tuo impegno sociale, delle tue importantissime fatiche letterarie: ecco, quali cose diresti, quali parole useresti per parlare con loro di don Puglisi e poi anche di te.
Il mio impegno sociale si è svolto in maniera semplice in alcuni quartieri difficili di Palermo, come volontario della Comunità di Sant’Egidio, che ho conosciuto grazie a padre Pino. Quando si formò un primo gruppo a scuola fu lui a indicare ai responsabili un primo posto dove riunirsi per la preghiera. Se dovessi scegliere un aspetto del suo insegnamento che è stato prezioso per me, direi quello del perdono. In tante zone della nostra terra c’è un culto della violenza, su cui la mafia ha prosperato. Padre Puglisi ha proposto, fin dagli anni Sessanta, una via di perdono e riconciliazione a comunità ferite da decenni di faide e vendette, portano la pace dove veniva riconosciuta solo la legge del taglione.
Se padre Puglisi dovesse porgere una omelia oggi, o tenere un catechismo ai giovani adolescenti in questo contesto di profonda crisi e incertezza, di guerre, di nuove povertà, di disagio giovanile, di riparo nel mondo virtuale, di abbandono scolastico precoce, cosa direbbe secondo te?
Posso dirti cosa Puglisi ha detto ai giovani, attraverso le sue stesse parole, prese da un documento prezioso, una sua omelia tenuta durante un corso di spiritualità per 40 giovani, tenuto nel 1985. Sono parole che offrono un orientamento valido ancora oggi: “Leggiamo il Prologo della I° lettera di San Giovanni, anche se un riferimento c’è stato: Ciò che era fin dal Principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il verbo della vita, poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi, quello che abbiamo veduto e udito, noi l’annunziamo a voi, perché anche voi siate in comunione con noi, la nostra comunione è col Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo”. […] “La comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. La comunione, dunque, promana dalla Trinità che è Dio. Dio è comunione da sempre in sé e questa comunione viene comunicata fin dalla creazione e chiamata all’unità, alla creazione tutta, viene comunicata all’uomo che è creato ad immagine e somiglianza di Dio, cioè segno di questa presenza che è Dio stesso, quindi l’uomo che promana da questa comunione sovrabbondante e traboccante di Dio dovrebbe diventare segno di comunione e ha scritto proprio dentro questo anelito, questa esigenza di comunione, lo dicevamo nel I° giorno; l’uomo sente l’esigenza della comunione, è nella sua natura, non può vivere da solo. La solitudine è la disgrazia più grande a cui possiamo andare incontro. Noi temiamo la sofferenza, la malattia, la povertà, la miseria, però potremmo dire che la sofferenza più grande è quella di essere soli […]. Essere soli, senza nessuno che ci ama, con cui dialogare secondo quel discorso che chiamiamo dialogo (incontro tra due persone). L’uomo è chiamato quindi a essere comunione come Dio. E Dio ha scritto dentro di noi questa esigenza, questa tensione verso la comunione tanto che, se non ce l’ha, se ne sente privo, è riscattato uno che non ha questa comunione, è privo, gli manca una parte di sé”.
Vincenzo, cosa vuol dire oggi come oggi l’espressione tanto cara e attribuita proprio a padre Pino Puglisi: “Se ognuno fa qualcosa… insieme possiamo fare molto.”
Penso che questa espressione, oltre ad esprimere la concretezza di Puglisi, che invitava a sporcarsi le mani per cambiare la realtà, individua un tratto fondamentale del suo metodo. È il passaggio dall’io al noi. Io da solo posso fare qualcosa, non sono irrilevante, certo, posso agire per cambiare le cose, ma solo insieme possiamo cambiare davvero il mondo.
Infine, un tuo indirizzo di saluto, un tuo messaggio profondo, sentito per finire con il vivo auspicio e la eterna certezza di poterci per sempre chiamare “fratelli”, per favore.
Posso esprimere l’augurio che rivolgo a me stesso: vivere l’entusiasmo che provava padre Puglisi per l’incontro con l’altro. L’incontro con tutti e con i poveri in particolare. È un entusiasmo che rischia di spegnersi con gli anni, soprattutto in anni difficili come quelli che viviamo, circondati da un mondo violento e che sembra rassegnato alla guerra, ma non dobbiamo dismettere un impegno concreto accanto ai più deboli. Con padre Puglisi e con i tanti martiri per la giustizia che hanno incarnato il sogno evangelico di un mondo più umano.
Alberto Cicatelli