Da Cagliari a Salerno: il lavoro che vogliamo
“Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale.” è stato il tema della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta a Cagliari, in una Regione dove il lavoro è un’emergenza, in un sistema economico debole.
La centralità del lavoro: la proposta della 48ª edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici italiani è che proprio la nuova centralità del lavoro segni la via che dobbiamo percorrere, diventando il cardine di una inedita alleanza intergenerazionale capace di salvare i nostri figli dalla stagnazione e gli anziani da una progressiva perdita di protezione. «Questa – ha osservato mons. Santoro, presidente del Comitato Scientifico e Organizzatore – è la linea auspicata dal presidente della Cei, il cardinale Bassetti, quando ha parlato di un nuovo patto sociale per il lavoro»: ha sottolineato il vescovo: «Un patto sociale che oltre alla salvaguardia della dignità umana sappia, al tempo stesso, creare occupazione e sviluppare veramente l’Italia con un progetto per il Paese e non solo con misure emergenziali».
L’economista Leonardo Becchetti, membro del Comitato Scientifico e Organizzatore, ha parlato delle “soluzioni sul campo” rappresentate dalle 400 buone pratiche censite nel cammino preparatorio alla Settimana sociale e che “già cambiano la realtà e preparano il futuro”. Le caratteristiche individuate nelle 400 buone pratiche sono l’originalità, la riproducibilità e l’avere risultati documentati nel tempo. Ne è emerso uno spaccato che va dalla manifattura al socio-sanitario passando da realtà al servizio delle imprese artigiane, consorzi virtuosi, cooperative culturali, innovatori enogastronomici, botteghe formative, i worker buy out, rigenerazione urbana, oratori come laboratori di competenze, orti urbani, incubatori con mentoring, economia della legalità, finanza e banca etica. «Le imprese generative – ha sottolineato Becchetti – devono stare sul mercato, devono avere capacità generativa interna ed esterna» altrimenti si va incontro al «fallimento virtuoso» con la «sconfitta dei buoni» o al «successo vizioso». «Noi economisti dopo il Pil e il Bes oggi arriviamo al bene comune, la più bella definizione di benessere che ci sia». Nella ricerca delle «buone pratiche» sono stati impegnati 213 giovani in 82 diocesi. Un risultato è stato quello di «cambiare le narrative avvilenti che oggi dominano». Anche se – ha riconosciuto Becchetti – «bisogna imparare a sbagliare» e per questo «sarebbe interessante un libro sui fallimenti».
A Cagliari si sono avuti 100 tavoli, ciascuno con 10 partecipanti, che hanno riflettuto su tutto questo, per mettere a sistema una serie di indicazioni fondamentali per la politica del Paese e per l’azione della società civile. E questi tavoli cagliaritani hanno evidenziato che non bastano le buone pratiche, servono policy, ed uno dei frutti di questi giorni sono state le proposte per l’Italia e l’Europa. «Rimettere il lavoro al centro dei processi formativi», recita la prima proposta indirizzata al governo, che parte dal presupposto che «per ridurre ulteriormente e in misura più consistente la disoccupazione giovanile, occorre intervenire con gli incentivi all’assunzione e in modo strutturale rafforzando la filiera formativa professionalizzante nel sistema educativo italiano». In secondo luogo, occorre «canalizzare i risparmi dei Pir (Piani individuali di risparmio) anche verso le piccole imprese non quotate che rispondano ad alcune caratteristiche di coerenza ambientale e imprese sociali». Strategico, inoltre, il tema degli appalti, il 60% dei quali viene ora, nonostante la riforma del settore, appaltato attraverso il voto dello Stato al massimo ribasso. «Accentuare il cambio di paradigma del Codice dei contratti pubblici potenziando i criteri di sostenibilità ambientale», la terza proposta della Settimana sociale di Cagliari al governo: «Inserendo tra i criteri reputazionali i parametri di responsabilità sociale ambientale e fiscale con certificazione di ente terzo» e «varando un programma di formazione delle Amministrazioni sul nuovo Codice». L’ultima proposta si prefigge come ambito di azione quella che da molti addetti ai lavori è considerata la giungla dell’Iva, con aliquote che variano dal 4%, al 10%, al 22%. «Rimodulare le aliquote Iva per le imprese che producono rispettando criteri ambientali e sociali minimi, oggettivamente misurabili, a saldo zero per le finanza pubblica», il testo della quarta proposta, «anche per combattere il dumping sociale e ambientale». Il primo problema, in Italia, è infatti quello dell’erosione della base fiscale, ma ormai esistono metriche ben precise e criteri idonei a valutare la qualità del lavoro: ne è un esempio il «rating di legalità», che lo Stato può adottare per valutare la sostenibilità delle filiere sul piano sociale e ambientale, tramite una graduatoria di merito che varia da una a tre stelle.
«Una società – ha rilevato mons. Galantino nella sua omelia durante la celebrazione al Santuario della Madonna di Bonaria – nella quale si fa fatica a far emergere segnali di vera solidarietà» soprattutto «nei confronti di quanti faticano a trovare un lavoro e un lavoro dignitoso». Ciò che «veramente conta ed è importante» – ha affermato il segretario generale della CEI – è «l’amore». Quello a Dio e al prossimo, «sono i due momenti di un unico impegno ed è ciò che oggi, non solo dobbiamo domandare per noi, ma è anche ciò su cui dobbiamo verificarci/esaminarci». «Quante parole senza amore che impegna. Quante liturgie – anche – senza un amore che si spende davvero», ha ammonito. Si tratta di un impegno personale e comunitario. «Le nostre organizzazioni – tanto e per tanti versi benemerite – forse hanno bisogno di smettere i panni comodi di interessi talvolta malamente camuffati. Panni confezionati ad hoc e sulla misura sempre degli stessi personaggi». Perché «l’amore di Dio e del prossimo si sviluppa e cresce quando circola aria nuova, soprattutto quando circola aria pulita, quella che ha lo sguardo e l’orizzonte di Dio e non quello asfittico dell’interesse e dell’autoreferenzialità che, il più delle volte – anzi sempre – si tengono in piedi in maniera indebita».
La relazione conclusiva della Settimana tenuta da mons. Santoro è stata rivolta anche all’interno della Chiesa italiana riprendendo ed ampliando le parole di mons. Galantino andando ad evidenziare che prima di ogni azione sociale c’è uno spessore ecclesiale da vivere. «Ogni conversione culturale, come verifichiamo nella conversione religiosa, accade in forza di qualcosa che viene prima della economia e della politica», l’invito a proposito dello «sviluppo della nostra presenza nella società», in cui «è chiamato in causa lo spessore della esperienza vitale delle nostre comunità parrocchiali, degli istituti religiosi, di associazioni, movimenti, servizi e altre forma di aggregazione laicale». «Non possiamo chiedere la novità alla politica se non la viviamo prima noi», ha affermato Santoro: «Prima di ogni azione sociale o politica c’è uno spessore ecclesiale da vivere come luogo in cui la vita è rigenerata nell’appartenenza al mistero di Cristo e della Chiesa». Di qui «la responsabilità della comunità cristiana, e in particolare dei fedeli laici in campo sociale e politico come ci sollecita la grande lezione del Vaticano II sino al IV capitolo della Evangelii Gaudium». «La Chiesa non è un’agenzia di collocamento sociale», come ha detto il card. Bassetti, «ma è anche vero che la vita delle nostre comunità non può limitarsi alla catechesi, liturgia, processioni e benedizioni», ha aggiunto il vescovo.
Questa è la pianta che la Settimana Sociale di Cagliari lascia a noi chiesa locale, una pianta da coltivare, custodire e far crescere sana e robusta con l’impegno di tutti per produrre buoni frutti nel nostro territorio.
(Antonio Memoli – Direttore Ufficio Problemi sociali e del lavoro dell’arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno; Delegato diocesano alla Settimana Sociale di Cagliari)