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Fermandosi accanto a un bosco in una sera di neve


Quest’anno anche noi ci siamo passati: il nostro piccolo ha terminato la scuola dell’infanzia.
L’ultima recita di fine anno è stato il rito di passaggio che, compiendo il suo dovere, ha reso coscienti tutti, piccoli e grandi, della fine di un ciclo.
In questo momento di risveglio, come alle volte accade, i pensieri si fanno più chiari, per la presa di coscienza dell’avanzare del tempo, e allo stesso tempo più nebbiosi, per l’incertezza di ciò che verrà.
Ma siccome il futuro non ci appartiene, tra i mille pensieri mi è tornata alla mente, forse a sproposito, questa poesia di Robert Frost.

Di chi sia il bosco credo di sapere.
Ma la sua casa è in paese: così
Egli non vede che mi fermo qui
A guardare il suo bosco riempirsi di neve.

Troverà strano il mio cavallino
Fermarsi senza una casa vicino
Tra il bosco e il lago gelato
La sera più buia dell’anno.

Dà una scrollata al suo sonaglio
Per domandare se c’è uno sbaglio:
Il solo altro suono è il fruscio
Del vento lieve, dei soffici fiocchi.

Bello è il bosco, buio e profondo,
Ma io ho promesse da mantenere,
E miglia da fare prima di dormire,
E miglia da fare prima di dormire.

Certamente sono versi che mi hanno sempre affascinato ed accompagnato, come amici lungo il cammino che hanno sempre qualcosa da dirti nonostante la lunga vita trascorsa insieme.
Ma oggi mi parlano in modo diverso, e il bosco che osservo non è più il mio.
È di mio figlio, e la sua casa, anche se ancora vicina alla mia, si allontana ed egli non mi scorge mentre lo osservo riempirsi di cose meravigliose.
Un senso certo di nostalgia, per l’abbandono di cose già lontane, ma di enorme speranza per ciò che sarà.
Spesso osserviamo i nostri piccoli proiettando su di essi le nostre promesse mancate, sperando, anche inconsciamente, che alcune delle nostre cambiali possano essere ripagate da altri.
Ma il bosco che osserviamo non è il nostro, dove le piante sono già alte e un buon pezzo di terreno già battuto. Quel bosco che osserviamo è il loro: ne siamo in parte responsabili, ma solo nel farlo crescere come meglio potrà, perché la natura ha bisogno anche della loro diversità.
Non possiamo riproporre noi stessi in altri, anche se da noi generati e, anche se ci piacerebbe indugiare su quei meravigliosi istanti della loro (nostra…) infanzia, il suono del campanello ce lo ricorda.
Che abbiamo ancora tanta strada da percorrere sul nostro cammino.
Che il loro, di cammino, sarà ancora lungo e pieno di sogni da realizzare.
Che le nostre promesse mantenute saranno la strada su cui potranno costruire le loro.
Miglia da percorrere e promesse da mantenere.
Questa è forse una parte della nostra verità di esseri umani. (Alfredo Vicinanza)

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