Il coraggio e la crisi politica: abbiamo a cuore le sorti del Belpaese
L’Italia è alle prese con l’ennesima crisi di governo, ma sarebbe più opportuno parlare di crisi di sistema, perché le ultime leggi elettorali non hanno consentito il formarsi di maggioranze coese in grado di esprimere ed attuare un programma per l’intera legislatura.
All’inizio degli anni ’90, in seguito alle indagini “Mani pulite” ed all’inchiesta “Tangentopoli”, tanti
partiti tradizionali crollarono e nacquero diversi partiti personali caratterizzati da un egocentrismo spropositato e da uno scarso senso delle Istituzioni e del bene comune. Non è possibile, poi, impostare il programma politico di un partito ovvero di una coalizione
mettendo al primo posto la risoluzione dei propri problemi personali e, allo stesso tempo, non si deve progettare il futuro dimenticando la propria storia proletaria e di vicinanza alle persone e famiglie in difficoltà. Non si può governare avendo come modello da seguire la finanza creativa, quella non basata su valori reali delle industrie che investono e producono, ma su titoli azionari che, nel giro di poco tempo, da interessanti e fittizi utili investimenti si rivelano delle vere calamità economiche ed esistenziali per chi, inopinatamente, aveva creduto di aver fatto un affare e di aver guadagnato tanto senza lavorare. In questi ultimi giorni abbiamo assistito alla caduta del governo Conte-bis, il quale legittimamente ha cercato in Parlamento un gruppo di deputati e senatori che potessero consentirgli di andare avanti. Questo tentativo, come detto, è legittimo perché la nostra Costituzione non prevede il vincolo di mandato ed i parlamentari devono in primis rispondere alla Nazione e, poi, al proprio partito, movimento o coalizione. Questa opzione può non piacere, perché spesso abbiamo assistito ad una vera e propria compravendita che, laddove provata, deve essere sanzionata dalla magistratura.
Il divieto di vincolo di mandato fu istituito dai Padri costituenti per consentire ad ogni parlamentare una libertà di azione necessaria per svolgere le proprie funzioni senza pressioni e/o ricatti esterni; si può intervenire nelle sedute parlamentari in disaccordo con il proprio gruppo di appartenenza. In ogni caso, non è opportuno cercare di restare al proprio posto ad ogni costo, c’è una dignità da difendere, un Paese da governare liberamente, un popolo che osserva, una giovane generazione che necessita di vedere una classe politica che si occupa e preoccupa dell’Italia.
In questi momenti interviene, come indicato dalla nostra ‘Magna Charta’ (Costituzione repubblicana) il Presidente della Repubblica che deve verificare se c’è una maggioranza parlamentare che eviti lo scioglimento delle Camere.
Sergio Mattarella, uomo saggio da tempo impegnato nell’agone politico e sempre attento alle esigenze degli italiani, ha incaricato dapprima il Presidente della Camera Roberto Fico per sondare e verificare
“l’umore” e la reale volontà dei parlamentari a formare una maggioranza.
Fallito il tentativo di Fico, il mite Mattarella ha incaricato l’ex presidente della Bce e della Banca d’Italia Mario Draghi come fecero Scalfaro con Ciampi e Napolitano con Monti, allorquando nel
1993 e nel 2011 la situazione economica era pressoché la stessa ed i politici erano interessati di più a non perdere consenso che a ricercare le soluzioni migliori seppure impopolari. Draghi ha detto da subito “la situazione è difficile” e che si sarebbe rivolto al Parlamento con uno sguardo attento alle giovani generazioni ed alla coesione sociale. La sua nomina per il tentativo di formare il nuovo governo ha spiazzato gran parte dei partiti e movimenti politici. Ci sono differenti valutazioni anche al loro interno: c’è chi vorrebbe sostenerlo a prescindere da quello che stabiliranno gli organi decisionali. Una cosa è certa: Mattarella non si è rivolto al primo che ha incontrato con le sue consultazioni al Quirinale ovvero al primo uomo che ha incontrato per strada; egli si è rivolto ad una persona che ha salvato la moneta unica europea e ciò non è poco. Piace osservare che Mario Draghi spesso usa la parola “coraggio”.
Per ricordare suo padre – perse i genitori all’età di 15 anni – racconta che egli vide tra le due guerre in Germania un’iscrizione su un monumento su cui era scritto: “Se hai perso il denaro non hai perso niente, perché con un buon affare lo puoi recuperare; se hai perso l’onore, hai perso molto, ma con un atto eroico lo potrai riavere;ma se hai perso il coraggio, hai perso tutto.” Ecco quanto manca a tanti politici e cittadini: non si può vivere in modo dignitoso se non si ha coraggio. Tutti abbiamo paura per il presente e per il futuro, pochi hanno il coraggio per affrontarla.
Anche il giudice Giovanni Falcone diceva di avere paura di ciò che l’avrebbe aspettato per la sua meritoria opera di legalità e giustizia, ma non esitò ad abbandonare la strada del martirio supportato dal coraggio.
Tornando a Draghi, è opportuno sottolineare che c’è qualche dubbio sulla sua formazione bancaria vicina ai “poteri forti” piuttosto che sul suo sostegno dell’austerità dell’economia europea quando egli era presidente della Bce. I dubbi sono legittimi e nessun capo del governo deve godere di una fiducia illimitata, ma oggi la posta in gioco con il Recovery found (fondo di recupero) ed il Recovery plan (piano di recupero) è molto alta e chiunque sarà chiamato a gestirli dovrà considerare seriamente le conseguenze di scelte errate che non tengano conto delle giovani
generazioni, degli effetti reali della pandemia e della cura efficace dell’ambiente. Un buon governante deve tenere a mente il bene di tutti, agire nell’interesse di tutti, coinvolgere tutto il proprio schieramento nello studio, nella ricerca e nell’attuazione del programma. Se poi si è alla guida del Paese in piena pandemia bisogna coinvolgere tutti coloro i quali hanno a cuore le sorti del Belpaese e garantire anche a chi non la pensa in modo simile di contribuire all’utilizzo di fondi europei mai stati così importanti.
In generale, poi, è troppo sbrigativo e fuorviante pensare sempre che gli altri sono la causa del male della società se non ci si impegna in prima persona a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la parità; se non si partecipa attivamente alle sorti della ‘civitas’ non si ha neppure il diritto di criticarla! D’altra parte, qualsiasi governante, anche di fama e caratura internazionale, non sarebbe in grado di assicurare il benessere dell’intera popolazione. Non può esistere, anzi non deve esistere l’uomo solo al comando; occorre un’intera nuova classe dirigente – non solo politica – che lavori per risolvere gli atavici problemi italiani. Nello stesso tempo, ci si chiede: a cosa serve ripetere con insistenza che la politica non è in grado di assicurare stabilità, governabilità ed efficienza dell’azione? Perché quando andiamo nell’urna elettorale, anziché pensare al bene del Paese, pensiamo soltanto al nostro interesse? Votiamo chi urla i problemi o chi cerca le soluzioni? Valorizziamo quei partiti ovvero quegli schieramenti che investono nella virtù della ‘lungimiranza’ e che pensano, quantomeno, a cosa accadrà domani. O, al contrario, premiamo in modo incondizionato i venditori di sogni irrealizzabili che non basano le proprie previsioni su nessun dato concreto? I problemi attuali non riguardano soltanto la pandemia, ma anche la disoccupazione, la povertà, la cura dell’ambiente, la giustizia, l’elevata diffusione dell’alcool tra le giovani generazioni, le marginalità sociali… Occorre, pertanto, una reale collaborazione tra politica e società civile che mettano al centro l’uomo e la sua dignità.
In questo contesto, la politica non deve essere dominata dall’economia o, peggio ancora, dalla finanza; c’è bisogno di uno scatto di orgoglio di tutte quelle persone che hanno a cuore le sorti dell’Italia.
C’è bisogno di soluzioni non urlate, di persone preparate, di uomini e donne che lavorino indefessamente per il nostro Paese e per l’Europa tanto cara a De Gasperi, uomo della ricostruzione dopo la Seconda Guerra mondiale. Da cattolici ci dobbiamo preoccupare di placare gli animi, i sollecitare soluzioni efficaci e condivise, per abbassare i toni della competizione elettorale e governativa. Occorre lavorare in modo onesto, gratuito e senza tregua, mettendo mano a piccoli progetti di bene comune: chi si occupa del proprio quartiere, della vivibilità e del decoro è un cittadino degno del Vangelo. Il cristiano è coraggioso, perché sa di essere con Gesù che, in piena tempesta, quando la barca traballa e sta per affondare insieme all’equipaggio, interviene infondendo la forza per vivere nei periodi difficili.
(Avv. Marcello Capasso – Coordinatore CS)