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In un mondo che corre, è ancora permesso fermarsi?

A tu per tu con Maria Rita Parsi – a cura di Alberto Cicatelli

Il senso della vita nel rapporto con il tempo, il tema del disagio giovanile e i problemi attuali è stato il tema centrale dell’intervento della psicopedagogista Maria Rita Parsi per il progetto Collegi in Campus, in dialogo con Lucia Bellaspiga di Avvenire, in occasione dell’incontro e convegno di studio organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore ad aprile di quest’anno.
Perché?
Lo abbiamo chiesto direttamente alla nota psicopedagogista, psicoterapeuta, saggista e scrittrice.

“Il geniale e un po’ provocatorio titolo del convegno deve già farci riflettere sulla domanda e a questa domanda io rispondo di «si», dobbiamo fermarci, non solo è possibile fermarci, ma dobbiamo farlo, perché c’è tanto da rivedere e da utilizzare e da riutilizzare che nella corsa ci sfugge e si disperde: è uno spreco culturale, educativo, formativo, psicologico e spirituale che va assolutamente evitato. Per quel che mi riguarda, il tempo con l’avvento del virtuale si è completamente modificato. Gli esseri umani hanno inventato l’altro mondo, il mondo del virtuale in cui il tempo non ha passaggi di attese, non ha processi di iniziazione che sono importantissimi, ma fornisce immediatamente risposte, soluzioni senza permettere che ci sia il percorso e questo è molto enigmatico, il che significa aver cambiato il tempo in un altro modo di vivere il tempo che dobbiamo cominciare invece a fermare. Quando noi da ragazzini facevamo delle ricerche, dovevamo prendere dei libri, trovare i vocaboli sulle enciclopedie, dovevamo sottolineare, tirare fuori delle idee, avere un work in progress di informazioni che dovevano insegnarci cos’era ricercare, cos’era lavorare, cos’era faticare: in questo momento il tempo viene usato per avere rapidamente qualcosa che costi la minor fatica possibile; invece, faticare è anche una maniera di sperimentare e di crescere”.

Maria Rita perché ti definisci spesso “una anziana adolescente”, che vuol dire?

“E’ un po’ come la poesia di Costantino Kafavis dal titolo Itaca, nella vecchiaia cui sono giunta tiro le somme della mia vita, e credo che tutte le cose che mi hanno spinto nella adolescenza a combattere, a cambiare, a trovare delle strade per esprimermi, ad affermarmi con tutti i limiti che queste cose contengono, mi rendono ancora adolescente oggi. Un giorno chiesero a Madre Teresa di Calcutta quale fosse stato il più bel giorno della sua vita, e lei rispose, semplicemente: oggi. E questo è l’insegnamento e il bene più prezioso: vivere l’oggi”.

Maria Rita Parsi è una famosa scrittrice, non solo, anche poetessa. Com’è la Maria Rita poetessa?

“E’ una diversa forma, peraltro insopprimibile, in cui si declina la propria sensibilità, nulla più di ciò. La plusdotazione, la ipersensibilità non sono un piacere o un talento, ma un dolore, un disagio, una sofferenza e solo se le canalizzi e le trasformi in azione creativa e in impegno allora diventano qualcosa di positivo per te e per gli altri”.

Ti sei spesso definita agnostica, non atea, eppure sei cresciuta in una famiglia cattolica.

“Intanto mi piace molto S. Agostino perché penso che il libero arbitrio sia una forma di responsabilità che ciascuno deve affrontare. Si, sono agnostica perché credo che devo andare a vedere, però se penso a Dio non lo considero un punitore giudicante, un qualcuno che ti deve spaventare, lo considero amore: tu stai in grazia di Dio quando ami. Ecco, è quanto basta”.

Sei stata impegnata in tante periferie del mondo, sei stata membro dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti dell’Infanzia e hai fondato Movimento Bambino Onlus: di che si tratta?

“I bambini sono poeti. Siamo stati tutti bambini, prima in simbiosi con la mamma nel grembo, poi c’è la diade e da lì diventiamo dipendenti da chi si prende cura di noi. Emanciparsi da quella dipendenza insieme poi alla triade con la vita del proprio papà vuol dire educarsi, darsi delle regole, capirle, accettarle se corrispondono a quel bisogno di giustizia che sublima la gelosia, l’invidia, l’insicurezza; alla base dell’educazione c’è la comunicazione, alla base della psicologia che è scienza della comunicazione del comportamento c’è la comunicazione, alla base dei disturbi psicologici c’è sempre la comunicazione. Ogni disturbo psicologico è disturbo della comunicazione, se correggi la comunicazione correggi il disturbo. Movimento Bambino è un dono perché ci ricorda che noi siamo fiabe, proprio come quelle che ci raccontavano da bambini per metterci buoni buoni a letto a dormire, ed è per questo che una fra le più importanti componenti in termini di agenzia educativa oggi è fondamentalmente rappresentata, non dalla scuola, non dalla Parrocchia, non dai social, non dal virtuale, ma dai nonni, i nostri veri angeli custodi in questa terra”.

Possiamo fermarci quindi, ma abbiamo bisogno di punti di riferimento altrimenti rimaniamo bloccati essendo disabituati a non-correre?

“Si corre quando è effettivamente necessario correre, non quando non lo è, ma quando è il momento di fermarsi bisogna afferrare quel momento e fermarsi, avere il coraggio e la forza di farlo anche contro le critiche degli altri. Detto questo, abbiamo i nonni, l’ho appena detto, questa immensa ricchezza vivente che può aiutarci acché i nostri bambini siano pian piano rieducati a non-correre troppo, slegandoli un pò anche da genitori troppo apprensivi, ansiosi, assenti, sfiduciati. Dobbiamo contare sulle persone che ci trasmettono serenità e sorrisi, che ci aiutano a sorridere anche sulle nostre piccole marachelle, che ci insegnano ad accogliere, non a respingere, che ci fanno vedere il bicchiere mezzo pieno mai mezzo vuoto. Mio padre mi fece recuperare due anni insieme perché mi avevano bocciata in prima media, ma tutte le volte che non sono stata punita, non sono stata offesa, mortificata, ma compresa, ascoltata, valorizzata, lì sono riuscita: ecco, questo è quello che dobbiamo imparare a fare, noi non lo sappiamo fare più purtroppo”.

Come ci salutiamo Maria Rita? Un consiglio per i lettori di Coscienza Sociale?

“Rileggete Itaca di Kafavis e riascoltate la colonna sonora di Quasi amici di Einaudi, per favore, perché il senso della vita è semplicemente darle un senso, ciao”.


Alberto Cicatelli

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