Paolo Borsellino, per la Sicilia e l’Italia
Il 23 maggio 1992 la mafia compiva la vile strage di Capaci in cui vennero uccisi Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti della scorta; il 19 luglio 1992 seguì l’altrettanto vile strage di via D’Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e 5 agenti della sua protezione.
Come ha vissuto Paolo Borsellino gli ultimi 57 giorni della sua vita? A lui e non solo era addirittura noto l’arrivo del tritolo per ucciderlo; aveva saputo che stavano preparando il suo attentato, ma non volle abbandonare il timone del comando dell’antimafia. Voleva continuare il lavoro che con dedizione, passione, determinazione aveva scelto di svolgere per dare un futuro alla Sicilia ed all’Italia.
Falcone e Borsellino erano amici, condividevano molto tempo insieme, infissero tante sconfitte alla mafia, lavoravano non solo per individuare i responsabili dei singoli reati, ma per comprendere e combattere la rete di collegamenti della criminalità organizzata con la società civile, l’imprenditoria e la politica.
Il loro lavoro non era basato su dei teoremi, ma su di una scrupolosa ed analitica ricostruzione degli eventi è su un vaglio critico e serio delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Borsellino era un valente magistrato, un coraggioso uomo delle Istituzioni, aveva un altissimo senso del dovere, era credente, amava la sua famiglia, voleva che la sua terra fosse libera, era cresciuto a stretto contatto con ragazzi che sarebbero diventati mafiosi, ma non si contaminò.
Borsellino insieme a Falcone, Chinnici, il beato Livatino, Cassarà, Basile, Mattarella, Fava, Impastato, Scopelliti, Grassi, Don Puglisi e tanti altri ancora, ha rappresentato la Sicilia perbene, la Sicilia che non si arrendeva alla mafia, la Sicilia del riscatto morale.
Borsellino ha vissuto i 57 giorni che separarono la morte dell’amico Falcone dalla sua dando speranza all’intero popolo italiano; non ammainò la bandiera del coraggio; non lasciò la nave anche se era pienamente consapevole che il prossimo sarebbe stato lui ad essere vigliaccamente ucciso.
È bene ripetere le parole del giornalista Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978, secondo cui “La mafia è una montagna di merda” e tutti quelli che non la combattono o sono complici o dei Giuda.
(Avv. Marcello Capasso – Coordinatore CS)